Il contesto: un sistema sanitario in sofferenza
Tra le diverse declinazioni assunte dall’emergenza sanitaria che, come noto, affligge l’Italia ormai da diverso tempo, centrale è quella concernente la carenza di personale sanitario, in particolare quello paramedico e assistenziale, innanzitutto nel settore pubblico.
Per avere piena contezza della portata che simile problematica già possiede ed ancor più è destinata ad assumere nel prossimo futuro, quantomeno in mancanza di nette inversioni di tendenza allo stato scarsamente verosimili, è sufficiente considerare la costante crescita nella domanda di servizi sanitari e di assistenza, connessa a sua volta alle profonde trasformazioni sociodemografiche ormai in corso da decenni nella popolazione. Una popolazione che, da una parte, è sempre più anziana e anche perciò maggiormente esposta a patologie croniche e degenerative, spesso tra loro anche compresenti, e, dall’altra, è composta da nuclei familiari che si fanno via via meno numerosi, cosicché si va assottigliando la naturale rete di supporto che si regge sui legami parentali.
Ad aggravare una situazione già di per sé critica, peraltro, concorrono anche il progressivo innalzamento dell’età media e del tasso di abbandono del personale sanitario in generale, nonché la scarsa attrattività che le professioni sanitarie, prima tra tutte quella infermieristica, oggi sembrano esercitare rispetto al relativo fabbisogno.
È bene tenere a mente che è questo, dunque, il contesto complessivo in cui si inseriscono i due accordi approvati il 3 ottobre 2024 in sede di Conferenza Stato-Regioni, dedicati rispettivamente alla “revisione del profilo professionale dell’operatore socio-sanitario” e alla “istituzione del profilo professionale di Assistente infermiere”.
Entrambi gli accordi sono volti, fondamentalmente, a migliorare la qualità nell’offerta dei servizi di assistenza alla persona, garantendone innanzitutto l’uniformità sul territorio nazionale, e al contempo mirano ad alleviare, sebbene indirettamente, le difficoltà legate all’insufficiente numero di infermieri attivi nel nostro Paese.
Revisione del profilo professionale dell’operatore socio sanitario (Oss)
Per quanto riguarda il primo degli accordi menzionati, va detto che esso a ben vedere non presenta un carattere particolarmente innovativo, limitandosi invece ad “aggiornare” il profilo dell’operatore socio-sanitario e a renderne maggiormente omogeneo a livello nazionale il percorso formativo.
L’operatore socio-sanitario, in particolare, viene definito dall’accordo in questione come “l’operatore che”, non esercitando una professione sanitaria, “svolge attività finalizzate a soddisfare i bisogni primari e favorire il benessere e l’autonomia delle persone assistite in ambito sanitario, socio-sanitario e sociale […] in collaborazione con il professionista sanitario o sociale di riferimento, e in integrazione con gli altri operatori sanitari e sociali”.
Dopo avere individuato gli ambiti di competenza dell’oss – distinti in i) aiuto alla “persona assistita nel soddisfacimento dei bisogni di base e alla vita quotidiana”; ii) assicurazione di “igiene, sicurezza e comfort degli ambienti di vita e di cura della persona”; iii) svolgimento di “attività di assistenza alla persona a carattere sanitario e socio-assistenziale”; iv) svolgimento “attività finalizzate all’integrazione con altri operatori e al lavoro in team” – e dopo avere ribadito che l’operatore socio-sanitario svolge la sua attività in collaborazione e, in relazione alla tipologia dell’attività, con la supervisione dei professionisti preposti all'assistenza sanitaria, sociosanitaria e sociale, “nell’ottica dell’integrazione multi-professionale”, il provvedimento dedica particolare attenzione al profilo della formazione degli operatori socio-sanitari.
Fermo restando che l’erogazione di quest’ultima rimane nella competenza delle Regioni e delle Province Autonome di Trento e Bolzano, si stabilisce, nello specifico, che ai fini dell’acquisizione della qualifica di oss occorre completare un corso avente una durata minima di mille ore, da svolgersi in un periodo non inferiore a nove e non superiore a diciotto mesi, strutturato in due moduli didattici, a loro volta articolati in tre aree disciplinari (i) area socio-culturale, legislativa e istituzionale, ii) area tecnico operativa, iii) area relazionale).
Al termine del corso di formazione, che comprende anche un periodo di tirocinio, gli aspiranti oss sono quindi chiamati a svolgere un esame, composto da una prova teorica scritta e orale e una prova pratica, ai fini dell’ottenimento di un attestato di qualifica avente validità su tutto il territorio nazionale.
Introduzione della figura dell’assistente infermiere
Del tutto inedita nel panorama sanitario italiano, invece, è la figura dell’assistente infermiere, istituita con il secondo accordo approvato il 3 ottobre scorso dalla Conferenza Stato-Regioni, in considerazione della “necessità di adottare modelli organizzativi innovativi nei quali integrare operatori qualificati con competenze specifiche che possano collaborare in ambito sanitario e socio-sanitario con la professione infermieristica e ad integrazione di équipe multidisciplinari”.
Oltre alle attività proprie del profilo di operatore sanitario, difatti, l’assistente infermiere, che opererà “nei contesti territoriali e ospedalieri, sanitari, socio-sanitari e sociali, presso servizi e strutture residenziali, semi-residenziali e diurni, a domicilio delle persone assistite, nonché in strutture dedicate alla disabilità e in servizi ambulatoriali”, è chiamato a collaborare con gli infermieri nella “rilevazione di parametri, segni e funzioni” ovvero “nello svolgimento di attività assistenziali a carattere sanitario”, fra cui, a determinate condizioni, anche la somministrazione di farmaci, nonché a svolgere attività di “organizzazione e integrazione con altri professionisti e operatori”.
Necessari per ottenere la qualifica di assistente infermiere sono, in primo luogo, il possesso della qualifica di operatore socio-sanitario e un'esperienza professionale di almeno ventiquattro mesi come oss, cui dovrà seguire “un ulteriore percorso formativo”, con esame finale, comprensivo di un periodo di tirocinio e avente una durata complessiva non inferiore a cinquecento ore, da svolgersi in un periodo di tempo non inferiore a sei mesi e non superiore a dodici mesi.
Anche in questo caso, comunque, resta affidato alle Regioni e alle Province autonome di Trento e Bolzano l’incarico di definire annualmente il fabbisogno formativo e il fabbisogno professionale di assistenti infermieri, previa “informativa regionale alle organizzazioni sindacali rappresentative”, nonché quello di provvedere all’organizzazione dei necessari corsi di formazione.
L'impatto della nuova figura dell'assistente infermiere sul sistema sanitario: le preoccupazioni degli operatori
Come ci si poteva probabilmente immaginare, se l’intervento limitato all’aggiornamento del profilo dell’operatore socio sanitario non ha destato particolari reazioni tra gli addetti ai lavori, completamente diversa è stata invece l’accoglienza riservata all’introduzione della figura dell’assistente infermiere, invero già da più parti contestata prima ancora del perfezionamento del relativo accordo in Conferenza Stato-Regioni.
Sebbene la Federazione Nazionale degli Ordini delle Professioni Infermieristiche (FNOPI) abbia espresso parole di deciso apprezzamento con riferimento a detta figura, infatti, ben presto avverso la medesima si sono levate le voci contrarie o comunque fortemente preoccupate di diverse altre associazioni, sindacali e non (fra cui, Nursing up, FIALS, FP CGIL, FP CISL, SHC OSS, CNAI, APSILEF, MIGEP), rappresentative tanto degli infermieri quanto degli operatori socio sanitari. Secondo gli esponenti di categoria più critici, in particolare, a fronte di ben pochi e circoscritti benefici, sarebbero invece molteplici gli aspetti negativi correlati all’inserimento dell’assistente infermiere nel nostro sistema sanitario. Fra questi, per esempio, vengono segnalati:
- un generale abbassamento della qualità garantita dei servizi assistenziali, considerata l’esiguità della formazione prevista per la nuova figura professionale cui pure possono essere affidati compiti anche molto delicati e di precisione;
- il rischio che si creino sovrapposizioni di ruoli e competenze tra infermieri e OSS-Assistenti infermieri
- il pericolo che l’utilizzo del termine “infermiere” possa generare confusione, tra gli utenti, sul ruolo, le competenze e la responsabilità della nuova figura professionale
- il verosimile peggioramento delle condizioni lavorative degli infermieri, che, dovendo supervisionare l’operato degli assistenti infermieri, potrebbero essere chiamati a rispondere degli errori eventualmente commessi da questi ultimi;
- le incertezze sull’inquadramento contrattuale nonché sul regime di responsabilità da applicare alla nuova figura che, pertanto, potrebbe prestarsi ad abusi.
È opportuno evidenziare che proprio l’avversione delle associazioni di categoria, e in particolar modo di quelle sindacali, sembrerebbe oggi rappresentare un ostacolo non trascurabile ai fini dell’effettiva implementazione e diffusione, negli organici delle strutture sanitarie nazionali, del ruolo di assistente infermiere, quanto meno nel settore pubblico.
In quest’ottica, dunque, assume un cruciale rilievo l’esito delle trattative, tutt’ora in corso, per il rinnovo del Ccnl del comparto sanità 2022-2024, nella misura in cui, come trapela dalla bozza di accordo da ultimo sottoposta alla valutazione dell’Aran e dei sindacati, in esso verrà ufficialmente recepita la neonata e già tanto discussa figura professionale.