Il progetto di riforma d’Ippolito sulla responsabilità medica
Novità delle ultime settimane è la pubblicazione dell’atteso progetto di riforma della disciplina sulla responsabilità medica, reso dalla commissione ministeriale d’Ippolito costituita dal Ministro della Giustizia Carlo Nordio - con d.m. 28 marzo 2023 - con le finalità di:
- esplorare l’attuale quadro normativo e giurisprudenziale in cui si inscrive la responsabilità colposa sanitaria per discuterne i limiti e le criticità e proporre un dibattito in materia di possibili prospettive di riforma;
- proporre un’approfondita riflessione e un accurato studio sul tema della colpa professionale medica ai fini di ogni utile successivo e ponderato intervento, anche normativo.
All’esito dei lavori, la Commissione ha prodotto una relazione, accompagnata dal relativo articolato, nella quale vengono illustrate le ragioni poste a fondamento della riforma [ref]Detto contributo è stato pubblicato sul sito https://archiviopenale.it[/ref].
La responsabilità medica in Italia: un quadro normativo in costante evoluzione
L’operato della Commissione muove dalla volontà del legislatore di superare le criticità emerse dalle più recenti riforme intervenute in materia - quali la L. 8 novembre 2012, n. 189 (c.d. Legge Balduzzi) e la L. 8 marzo 2017, n. 24 (c.d. Legge Gelli–Bianco) - mediante la riscrittura e la puntualizzazione di alcuni aspetti - che avevano generato equivoci e al contempo avevano richiesto un’interpretazione “creatrice” della giurisprudenza - dando vita a una formulazione normativa più rispettosa del principio costituzionale di legalità.
Al fine di maggiore chiarezza e soprattutto allo scopo di una migliore comprensione degli approdi a cui intende pervenire il progetto di riforma, è doveroso ricordare brevemente la successione normativa che ha interessato la materia in questi ultimi anni.
Prendiamo le mosse dalla riforma Balduzzi del 2012, intervento volto essenzialmente a limitare la responsabilità del sanitario che si attiene alle linee guida alle sole ipotesi di condotta gravemente colposa. La novella, infatti, prevedeva che “L'esercente le professioni sanitarie che nello svolgimento della propria attività si attiene a linee guida e buone pratiche accreditate dalla comunità scientifica non risponde penalmente per colpa lieve”.
Dopo qualche anno, nel 2019, viene approvata la Legge Gelli-Bianco che riforma la materia mediante l’introduzione dell’art. 590 sexies che recita: “Qualora l’evento si sia verificato a causa di imperizia, la punibilità è esclusa quando sono rispettate le raccomandazioni previste dalle linee guida come definite e pubblicate ai sensi di legge ovvero, in mancanza di queste, le buone pratiche clinico-assistenziali, sempre che le raccomandazioni previste dalle predette linee guida risultino adeguate alle specificità del caso concreto”.
La norma, pur confermando il ruolo essenziale svolto dalle linee guida e dalle buone pratiche a cui l’operato del sanitario si deve adeguare, opera un netto superamento della disposizione previgente abbandonando il riferimento alla colpa lieve e ancorando la responsabilità professionale del medico al concetto di imperizia.
Si rammenta, inoltre, che la non facile interpretazione della fattispecie, caratterizzata da una evidente complessità, ha dato luogo a contrasti giurisprudenziali che hanno provocato l’intervento dirimente della Corte di Cassazione a Sezioni Unite Penali – pronuncia del 22 febbraio 2018 n. 8770 (caso Mariotti) - che ha affermato i seguenti principi di diritto:
“L’esercente la professione sanitaria risponde, a titolo di colpa, per morte o lesioni personali derivanti dall’esercizio di attività medico-chirurgica:
- se l’evento si è verificato per colpa (anche “lieve”) da negligenza o imprudenza;
- se l’evento si è verificato per colpa (anche “lieve”) da imperizia quando il caso concreto non è regolato dalle raccomandazioni delle linee-guida o dalle buone pratiche clinico-assistenziali;
- se l’evento si è verificato per colpa (anche “lieve”) da imperizia nella individuazione e nella scelta di linee-guida o di buone pratiche clinico-assistenziali non adeguate alle specificità del caso concreto;
- se l’evento si è verificato per colpa “grave” da imperizia nell’esecuzione di raccomandazioni di linee-guida o buone pratiche clinico-assistenziali adeguate, tenendo conto del grado di rischio da gestire e delle speciali difficoltà dell’atto medico”.
Su questo quadro normativo e giurisprudenziale interviene il presente progetto di riforma che, a ben vedere, non si limita a innovare i profili prettamente penalistici, ma investe una pluralità di questioni afferenti a diversi ambiti dell’ordinamento. Invero, il progetto sul codice penale e sul codice di procedura penale e, quanto alle questioni prettamente civilistiche, sulla Legge n. 24 del 2017.
Nel prosieguo di questo breve contributo, si metteranno in luce le principali novità veicolate dal presente progetto.
La responsabilità penale del medico: le novità introdotte dalla riforma d'Ippolito
Stando alle modifiche apportate al codice penale, la Commissione ministeriale è intervenuta sulla causa di non punibilità prevista per la responsabilità sanitaria mediante un duplice intervento consistente nella riformulazione dell’art. 590 sexies c.p. e nell’introduzione di un articolo di nuovo conio, ossia il 590 septies c.p.
Di seguito, si riporta il testo del novellato articolo 590 sexies c.p., rubricato “Limiti della responsabilità in ambito sanitario”, che recita:
“I fatti previsti dagli artt. 589, 590 e 593 bis commessi nell’esercizio dell’attività sanitaria sono esclusi quando risulta che la prescrizione che la prescrizione è conforme agli indirizzi di diagnosi e cura adeguati alle specificità del caso concreto.
Rilevano quali indirizzi di diagnosi e cura le raccomandazioni previste dalle linee guida pubblicate ai sensi dell’art. 5 della legge 8 marzo 2017, n. 24, le buone pratiche clinico-assistenziali, nonché altre scelte diagnostiche e terapeutiche adeguate alle specificità del caso concreto”.
Come sopra anticipato, detta norma deve essere letta congiuntamente al nuovo articolo 590 septies c.p., rubricato “Responsabilità solo per colpa grave”, che prevede testualmente:
“Se, nei fatti previsti dagli articoli 589, 590 e 593 bis, l’attività sanitaria non è conforme a indirizzi di diagnosi e cura adeguati alle specificità del caso concreto, l’esercente ne risponde nelle fattispecie di mancato ricorso a comuni cautele, di errata scelta dell’indirizzo di diagnosi e cura o di errata esecuzione dell’attività, di adozione di indirizzi di diagnosi e cura più rischiosi non giustificati da prospettive favorevoli per l’assistito, di violazione delle misure organizzative della sicurezza delle cure, con l’effetto di cagionare l’evento evitabile e prevedibile del reato.
Nelle fattispecie predette, se l’attività sanitaria è di speciale difficoltà, l’esercente ne risponde solo per colpa grave.
Tra i fattori che possono escludere la gravità della colpa, per la speciale difficoltà dell’attività sanitaria, il giudice considera i contesti di rischio causati dalla scarsità delle risorse umane e materiali disponibili, dalla mancanza o dalla limitatezza di conoscenze scientifiche o di terapie adeguate, dalla severità e dalla complessità della malattia, dalla presenza di situazioni di rilevante urgenza o emergenza”.
Dal combinato disposto delle due norme, si evince l’intento della riforma di superare l’attuale normativa imperniata sul concetto di imperizia.
Inoltre, la formulazione normativa appare più precisa e rigorosa in quanto si sofferma a specificare le condotte rilevanti ai fini della responsabilità medica consistenti, per l’appunto, nel mancato ricorso a comuni cautele, nell’errata scelta dell’indirizzo di diagnosi e cura, nell’errata esecuzione dell’attività, nell’adozione di indirizzi di diagnosi e cura più rischiosi non giustificati da prospettive favorevoli per l’assistito e nella violazione delle misure organizzative della sicurezza delle cure. In questo modo, non ci si limita a sanzionare la condotta del medico violativa di generici indirizzi di diagnosi e cura adeguati al caso concreto, ma si circoscrivono le condotte penalmente rilevanti.
Un’altra novità attiene alla limitazione della responsabilità dell’operatore sanitario qualora l’attività sia di speciale difficoltà. Vi è quindi un ritorno alla tradizionale interpretazione giurisprudenziale – precedente alla riforma Balduzzi - secondo cui, parallelamente alla disciplina civilistica prevista dall’art. 2236 c.c., il sanitario non veniva chiamato a rispondere nei casi di attività particolarmente difficoltosa, se non quando l’esito dannoso fosse derivato da una condotta dolosa o gravemente colposa. Detta impostazione viene recuperata dal presente progetto e positivizzata nel secondo comma dell’articolo 590 septies c.p. Anche in questo caso, a ben vedere, non ci si limita a creare un’area di esonero da responsabilità per quelle ipotesi genericamente definite di speciale difficoltà, ma si specifica puntualmente quando ricorra un’attività di particolare complessità, vale a dire quando vi siano una scarsità delle risorse umane e dei materiali disponibili, una mancanza o una limitatezza di conoscenze scientifiche o di terapie adeguate, una severità e una complessità della malattia, una presenza di situazioni di rilevante urgenza o emergenza.
Complessivamente, dall’articolato emerge un duplice intento: da un lato, limitare la responsabilità del medico in quei casi connotati da particolare difficoltà; dall’altro, apprestare una normativa più dettagliata che precisi i confini della responsabilità penale del medico.
Novità processuali in materia di responsabilità sanitaria: la condanna per denuncia temeraria
Un’ulteriore novità del progetto di riforma consiste nell’introduzione dell’art. 411 bis c.p.p., rubricato “Condanna per notizia di reato temeraria in ambito di responsabilità sanitaria”, che recita:
“In ambito di responsabilità per attività sanitaria, il pubblico ministero, tenuto conto della cartella clinica e di altra documentazione sanitaria che dimostri la conformità dell’attività contestata agli indirizzi di diagnosi e cura adeguati alle specificità del caso concreto, richiede l’archiviazione senza indugi.
Il pubblico ministero richiede l’archiviazione anche nel caso in cui, nel bilanciamento tra fattori della valutazione, risulti un dubbio ragionevole sulla sussistenza di fattori costitutivi della colpa grave ovvero sulla insussistenza di fattori che la escludano.
Nel richiedere l’archiviazione, il pubblico ministero, se ravvisa i presupposti di una notizia di reato temeraria, ne dà notizia alle parti ai sensi dell’art. 408. Nell’avviso il pubblico ministero precisa che, in caso di archiviazione, il denunciante o il querelante potrebbe essere condannato al pagamento della sanzione pecuniaria prevista dal comma 7.
La notizia di reato si considera temeraria se il denunciante o il querelante ha omesso, per colpa grave, ogni verifica del contenuto dell’accusa rivolta al sanitario, a conferma di un suo ragionevole fondamento.
Fuori dei casi in cui sia stata presentata opposizione ai sensi dell’articolo 410 e quando non sussistano fondati motivi per ritenere temeraria la notizia di reato, il giudice, se accoglie la richiesta di archiviazione, pronuncia decreto motivato e restituisce gli atti al pubblico ministero.
Fuori dei casi previsti dal comma precedente, il giudice fissa senza indugi la data dell’udienza in camera di consiglio e ne fa dare avviso al pubblico ministero, alla persona sottoposta alle indagini e alla persona offesa dal reato. Si applicano, in quanto compatibili, le previsioni dell’articolo 409.
Se all’esito dell’udienza in camera di consiglio il giudice, accogliendo la richiesta di archiviazione, ravvisa i presupposti di una notizia di reato temeraria, condanna il denunciante o il querelante al pagamento delle spese del procedimento anticipate dallo Stato nonché alla rifusione delle spese in favore della persona sottoposta ad indagine. Su richiesta della persona sottoposta ad indagine, il giudice condanna altresì il denunciante o il querelante al pagamento a favore dell’indagato di una somma da 2.000,00 a 5.000,00 euro che può essere aumentata fino al triplo tenuto conto della gravità delle ragioni che fondano la temerarietà della notizia di reato.
Contro la condanna al pagamento della sanzione pecuniaria prevista dal comma precedente, entro quindici giorni dalla conoscenza del provvedimento, il denunciante o il querelante può proporre reclamo innanzi al Tribunale in composizione monocratica, che provvede ai sensi dell’articolo 127.
Il Tribunale, se il reclamo è fondato, annulla il provvedimento oggetto di reclamo e, ove occorra, ridetermina la somma da corrispondere all’indagato. Altrimenti conferma il provvedimento e condanna la parte privata che lo ha proposto al pagamento delle spese del procedimento. Se dichiara inammissibile il reclamo, oltre che al pagamento delle spese, il giudice condanna altresì la parte al pagamento di una somma in favore della cassa delle ammende nei limiti di quanto previsto dall’articolo 616, comma 1”.
La norma in esame è volta primariamente a dissuadere il cittadino dal denunciare indiscriminatamente i sanitari per il loro operato. Tale disposizione appresta quindi una tutela per il sanitario, talvolta bersaglio di attacchi temerari da parte di pazienti insoddisfatti; allo stesso tempo, è protesa a tutelare il buon andamento dell’amministrazione della giustizia, impedendo che il sistema venga ingolfato da procedimenti meramente strumentali volti a macchiare la reputazione dell’esercente la professione sanitaria.
Responsabilità civile del sanitario in caso di attività di speciale difficoltà: le nuove regole
È interessante notare come il progetto di riforma apporti delle modifiche anche alla disciplina inerente alla responsabilità civile del sanitario – incidendo soprattutto sull’art. 7 Legge 24/2017 – e dia vita, in particolare, a una disposizione speculare a quella penalistica, limitando la responsabilità del sanitario in quelle ipotesi connotate da speciale difficoltà nell’esecuzione della prestazione.
Viene così creata una correlazione tra i due rami dell’ordinamento mediante la fissazione di un presupposto identico per la configurazione delle due tipologie di responsabilità.
La disposizione del riformato articolo 7 L. Gelli-Bianco, rubricato “Responsabilità civile della struttura e dell’esercente la professione sanitaria”, recita:
“La struttura sanitaria o sociosanitaria pubblica o privata che, nell’adempimento della propria obbligazione, si avvale dell’opera di esercenti la professione sanitaria, anche se scelti dal paziente e ancorché non dipendenti della struttura stessa, risponde, ai sensi degli articoli 1218 e 1228 del codice civile, dei danni derivanti dalle loro condotte dolose o colpose.
La disposizione di cui al comma 1 si applica anche alle prestazioni sanitarie svolte in regime di libera professione intramuraria ovvero nell’ambito di attività di sperimentazione e di ricerca clinica ovvero in regime di convenzione con il Servizio sanitario nazionale nonché attraverso la telemedicina.
L’esercente la professione sanitaria di cui ai commi 1 e 2 risponde del proprio operato ai sensi dell’articolo 2043 del codice civile, salvo che abbia agito nell’adempimento di obbligazione contrattuale assunta con il paziente.
La responsabilità civile, sia della struttura sanitaria o sociosanitaria pubblica o privata che dell’esercente la professione sanitaria, è esclusa se la prestazione è stata eseguita in conformità delle raccomandazioni previste dalle linee guida pubblicate ai sensi del comma 3 dell’art. 5 della presente legge, delle buone pratiche clinico-assistenziali, nonché di altre scelte diagnostiche e terapeutiche adeguate alle specificità del caso concreto.
Incombe sul danneggiato l’onere di provare che la specificità del caso concreto richiedeva una condotta diversa da parte della struttura sanitaria o sociosanitaria pubblica o privata o dell’esercente la professione sanitaria.
Se la prestazione sul danneggiato implica la soluzione di speciale difficoltà, tenuto conto delle specificità del caso concreto, l’esercente la professione sanitaria risponde del caso concreto, l’esercente la professione sanitaria risponde solo in caso di dolo o colpa grave.
La prestazione sanitaria si considera di speciale difficoltà avuto riguardo ai contesti di rischio causati dalla scarsità delle risorse umane e materiali disponibili, ovvero della mancanza o dalla limitatezza di conoscenze scientifiche o di terapie adeguate, ovvero dalla severità e della complessità della malattia, ovvero dalla presenza di situazioni di rilevante urgenza o emergenza.
La responsabilità dell’esercente la professione sanitaria si configura per colpa grave ove il danno subito dal paziente sia derivato:
- Dalla mancata adozione di comuni cautele;
- Dalla irragionevole omessa adozione degli indirizzi di diagnosi e cura adeguati alla specificità del caso concreto ovvero di tecniche alternative, comunemente praticate, richieste dalla specificità del caso concreto;
- Dal fatto che l’esercente la professione sanitaria abbia imprudentemente operato oltre i limiti della propria capacità e competenza tecnica, salvo il caso in cui la prestazione sia stata resa in una situazione di urgenza o emergenza.
Il danno conseguente all’attività della struttura sanitaria o sociosanitaria, pubblica o privata, e dell’esercente la professione sanitaria è risarcito sulla base delle tabelle di cui agli articoli 138 e 139 del codice delle assicurazioni private , di cui al decreto legislativo 7 settembre 2005, n. 209, integrate, ove necessario, con la procedura di cui al comma 1 del predetto articolo 138 e sulla base dei criteri di cui ai citati articoli, per tenere conto delle fattispecie da esse non previste, afferenti alle attività di cui al presente articolo.
Le disposizioni del presente articolo sono inderogabili".
Dal confronto con la norma vigente, rimane ferma la responsabilità contrattuale della struttura sanitaria per l’attività svolta da coloro che esercitano al suo interno le prestazioni sanitarie, anche in veste di liberi professionisti. Resta altresì invariato il regime di responsabilità previsto per il sanitario che risponde ai sensi dell’art. 2043 c.c., ossia a titolo di responsabilità extracontrattuale, salvo che egli abbia agito nell’adempimento di un’obbligazione contrattuale.
Le novità invece risiedono, come già anticipato, nella limitazione della responsabilità del sanitario in occasione di attività di speciale difficoltà, con la precisazione delle circostanze in cui è ravvisabile tale complessità. La Commissione ministeriale prevede che in questi casi il
sanitario potrà essere chiamato a rispondere solo se ha agito con dolo o con colpa grave, menzionando le specifiche circostanze nelle quali è ravvisabile una colpa grave.
In conclusione, detta norma, al pari della corrispondente fattispecie penalistica, si contraddistingue per una elevata precisione, atteso che definisce con maggiore attenzione e dettaglio i contorni della responsabilità civile del sanitario.