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22 apr 2025 12:00

La legittimità costituzionale del contributo alla finanza pubblica delle Regioni sottoposte a piani di rientro (Corte cost. 6 dicembre 2024, n. 195)

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Con la sentenza n. 195/2024, la Corte costituzionale si è pronunciata sulla legittimità costituzionale dell’obbligo di contribuire alla finanza pubblica da parte di Regioni sottoposte a piani di rientro, chiarendo, in particolare, che la condizione contingente di un ente territoriale in disavanzo non può costituire, in linea di principio, un motivo di esenzione.

Finanza pubblica e Regioni: le misure della Legge di bilancio 2024

Con la sentenza del 6 dicembre 2024, n. 195, la Corte costituzionale si è espressa sulla questione di legittimità costituzionale dell’art. 1, commi 527 e 557, della l. 30 dicembre 2023, n. 213 (Bilancio di previsione dello Stato per l’anno finanziario 2024 e bilancio pluriennale per il triennio 2024-2026), sollevata dalla Regione Campania, con ricorso notificato il 28 febbraio 2024 e depositato il 1° marzo 2024, in riferimento agli artt. 3, 5, 81, 97, 114, 117, comma 3, 118, 119 e 120 Cost.

Nel dettaglio, l’art. 1, comma 527, della l. n. 213 del 2023 prevede che le Regioni a statuto ordinario devono contribuire alla finanza pubblica con 350 milioni di euro all’anno dal 2024 al 2028. La norma stabilisce altresì che la ripartizione di questo contributo deve essere definita entro il 30 aprile 2024 tramite un meccanismo di autocoordinamento tra le Regioni e formalizzata con decreto del Presidente del Consiglio. In mancanza di accordo tra le Regioni, entro il 31 maggio 2024, il riparto sarà deciso d’ufficio con decreto del Presidente del Consiglio dei ministri, su proposta del Ministro dell’economia e delle finanze, di concerto con il Ministro per gli affari regionali e le autonomie, in proporzione agli impegni di spesa corrente delle Regioni, calcolati al netto delle spese relative ai diritti sociali e alla tutela della salute. I versamenti dovranno essere effettuati entro il 30 giugno di ogni anno; in caso di mancato pagamento, lo Stato procederà al recupero delle somme riducendo altre risorse destinate alle Regioni.

L’art. 1, comma 557, stabilisce, invece, che entro 60 giorni dall’entrata in vigore della legge il Ministro della salute, d’intesa con il Ministro dell’economia e delle finanze, deve definire con decreto i criteri e le modalità di ripartizione, nonché il sistema di monitoraggio, delle risorse del Fondo per i test di "Next-Generation Sequencing" per la diagnosi delle malattie rare. Questo fondo, istituito dal comma 556, ha una dotazione di 1 milione di euro per il 2024 e rientra nel bilancio del Ministero della salute.

I motivi di ricorso

La Regione Campania ha contestato la legittimità costituzionale delle disposizioni sopra citate per il loro significativo impatto sulla finanza regionale, sulla base delle argomentazioni di seguito condensate.

Il pregiudizio delle misure di contribuzione alle Regioni sottoposte ai piani di rientro

In via principale, la Regione Campania ha contestato l’obbligo di contribuire alla finanza pubblica imposto alle Regioni sottoposte a piani di rientro dal disavanzo amministrativo, tra cui la stessa ricorrente per gli esercizi finanziari 2014 e 2015.

Precisamente, secondo la Regione, con il contributo introdotto dalle disposizioni impugnate, tali enti, oltre a dover rispettare i vincoli già previsti per il recupero del deficit, vedrebbero ulteriormente ridotta la propria liquidità a causa del riversamento delle risorse allo Stato. La Regione Campania ha sottolineato che il risanamento del disavanzo dovrebbe al contrario rappresentare una priorità assoluta di finanza pubblica, precedendo qualsiasi altra esigenza di coordinamento tra Stato e Regioni. Poiché i piani di rientro prevedono risparmi di spesa su più decenni, ciò comporterebbe una drastica limitazione della capacità di spesa obbligatoria sul territorio. Di conseguenza, l’imposizione di vincoli così rigidi non terrebbe conto della reale situazione finanziaria delle Regioni, compromettendo il bilanciamento tra stabilità finanziaria e autonomia regionale, in violazione degli artt. 3, 81 e 97 Cost.

Il ricorso evidenzia, inoltre, che in applicazione della norma impugnata la Regione Campania dovrebbe versare annualmente circa 35 milioni di euro, oltre ai 18 milioni di euro già previsti ai sensi dei commi 850 e 851 dell’art. 1 della l. n. 178 del 2020, a partire dal 2023. Pertanto, ogni anno la Regione sarebbe tenuta a trasferire circa 54 milioni di euro al bilancio statale, a cui si aggiungerebbe il versamento obbligatorio per il rientro dal disavanzo, pari a 128.365.175,41 euro. Questa situazione, definita dalla Regione come oggettivamente gravosa, dimostrerebbe il rilevante pregiudizio arrecato dall’introduzione delle disposizioni contenute nel comma 527.

Sempre sul punto, la Regione ha evidenziato una disparità di trattamento rispetto agli enti locali in dissesto finanziario o in procedura di riequilibrio, i quali, ai sensi dell’art. 1, comma 533, della legge n. 213 del 2023, sono esentati dal concorso alla finanza pubblica. Tuttavia, tale esenzione non viene riconosciuta alle Regioni in piano di rientro, che vengono invece sottoposte agli stessi obblighi degli enti in regime ordinario, in contrasto con i principi di eguaglianza e ragionevolezza sanciti dall’art. 3 Cost.

Il ricorso ha evidenziato, ancora, che la norma impugnata viola gli artt. 3 e 97 Cost., nella parte in cui non consente alle Regioni impegnate nel rientro dal disavanzo di iscrivere il contributo dovuto alla finanza pubblica in un capitolo di spesa vincolato all’interno del proprio bilancio. Ciò impedirebbe di destinare tali somme a un fondo che, a fine esercizio, sarebbe contabilizzato nel risultato di amministrazione come quota di maggior recupero del disavanzo. Secondo la Regione, questa sarebbe l’unica modalità costituzionalmente corretta per garantire il contributo alla finanza pubblica senza pregiudicare la sostenibilità finanziaria degli enti territoriali. Al contrario, l’obbligo di versamento diretto al bilancio statale equivarrebbe a un esproprio del patrimonio regionale, in violazione della giurisprudenza costituzionale (vengono richiamate, sul punto, le sentenze della Corte costituzionale n. 101 del 2018 e n. 247 del 2017).

La violazione del regime di riparto della competenza e l’impatto sull’autonomia tributaria delle Regioni

Per quanto concerne l’art. 1, comma 527, della l. n. 213 del 2023, la Regione ha rilevato altresì un’ingerenza del legislatore statale nella competenza regionale in materia di coordinamento della finanza pubblica. La disposizione contestata, infatti, imporrebbe una modalità specifica di contribuzione, ovvero il riversamento del risparmio regionale al bilancio statale, limitando di fatto l’autonomia della Regione in violazione degli artt. 3, 5, 117, comma 3, 119 e 120 Cost.

Un ulteriore motivo di censura ha riguardato il versamento diretto delle risorse al bilancio dello Stato. Tale imposizione, eliminando qualsiasi margine di autonomia decisionale per la Regione, violerebbe il principio di autonomia finanziaria, garantito dagli artt. 114 e 119, commi 1 e 2, Cost., e stravolgerebbe la logica dei principi di solidarietà territoriale sanciti dall’art. 119, commi 3 e 5, Cost., in quanto lo Stato otterrebbe nuove entrate senza specificarne la destinazione (viene richiamata, sul punto, la sentenza della Corte Costituzionale n. 176 del 2012).

La Regione Campania ha contestato, ancora, la disposizione contenuta nel comma 527 in base alla quale, in caso di mancato versamento del contributo entro il termine stabilito, trova applicazione un sistema di recupero d’ufficio delle somme mediante riduzione delle risorse spettanti a qualsiasi titolo alla Regione. Tale meccanismo, secondo la Regione, si porrebbe in contrasto con l’art. 119 Cost., in quanto introduce un criterio contraddittorio e lesivo del principio di autonomia finanziaria regionale. Inoltre, la norma rischia di incidere negativamente sui diritti fondamentali della persona, dato che la riduzione delle risorse potrebbe colpire anche settori essenziali come la tutela della salute e i diritti sociali, che il legislatore ha espressamente escluso dal concorso alla finanza pubblica. In questo modo, quindi, la disposizione introdurrebbe un meccanismo di fatto sanzionatorio, idoneo a determinare effetti irreversibili a danno della collettività.

Per quanto riguarda l’art. 1, comma 557, infine, la Regione ha contestato l’assenza di un coinvolgimento delle autonomie territoriali nella definizione dei criteri di riparto delle risorse del fondo istituito per i test di Next-Generation Sequencing per la diagnosi delle malattie rare. La norma, escludendo il contributo delle regioni nella ripartizione di tali risorse, violerebbe il principio di leale collaborazione sancito dall’art. 120 Cost., nonché gli artt. 117, comma 3, 118 e 119 Cost., in quanto la materia rientra nella competenza concorrente in tema di tutela della salute, che richiede il coinvolgimento regionale nelle decisioni di spesa.

La  decisione della Corte costituzionale 

Secondo la Corte costituzionale, le contestazioni sollevate dalla Regione ricorrente, basate sulla mancata esclusione dal contributo finanziario delle regioni impegnate in un piano di rientro dal disavanzo di amministrazione, non sono fondate.

La legittimità del contributo per le Regioni in piano di rientro alla finanza pubblica

Innanzitutto, l’impostazione secondo cui la necessità di riequilibrare il bilancio dell’ente debba giustificare l’esonero dal contributo alla finanza pubblica non può essere accolta. L’obbligo di evitare la formazione di disavanzi e, in ogni caso, di ripianarli in tempi adeguati secondo le regole statali di armonizzazione contabile discende, da un lato, dai principi di buona amministrazione, copertura delle spese ed equilibrio di bilancio; dall’altro lato, poiché attiene alla situazione finanziaria del singolo ente, tale obbligo risponde al principio di responsabilità nella gestione delle risorse pubbliche della collettività territoriale.

Pertanto, di fronte agli obblighi euro-unitari che gravano su tutti gli enti della finanza pubblica allargata, la condizione contingente di un ente territoriale in disavanzo non può costituire, in linea di principio, un motivo di esenzione, poiché ciò vanificherebbe il principio di responsabilità finanziaria.

Inoltre, nell’ordinamento non vi è alcuna previsione che sostenga la tesi avanzata dalla Regione. Al contrario, l’art. 9 della l. n. 243 del 2012, dopo aver stabilito al comma 1 che i bilanci degli enti territoriali devono garantire l’equilibrio con un saldo non negativo tra entrate e spese finali, prevede al comma 5 che la legge statale possa imporre «ulteriori obblighi a carico degli enti di cui al comma 1 in materia di concorso al conseguimento degli obiettivi di finanza pubblica del complesso delle amministrazioni pubbliche», al fine di rispettare i vincoli derivanti dall’ordinamento dell’Unione europea. Questa disposizione, dunque, dimostra che il legislatore non ha inteso escludere gli enti in disavanzo dalla partecipazione alla riduzione della spesa pubblica.

L'assenza di disparità di trattamento: le diverse ipotesi di esclusione dal contributo alla finanza pubblica

Secondo la Corte, è priva di fondamento anche la censura con cui la Regione ricorrente rileva una disparità di trattamento e un’irragionevole penalizzazione delle Regioni in piano di rientro, sulla base della diversa scelta operata dal legislatore nella legge di bilancio 2024. In tale contesto, infatti, sono stati esclusi dal contributo alla finanza pubblica alcuni enti locali, ossia: a) quelli in dissesto finanziario; b) quelli sottoposti a procedura di riequilibrio finanziario pluriennale; c) quelli che abbiano sottoscritto specifici accordi con lo Stato per ottenere uno speciale contributo.

La Corte, tuttavia, esclude che queste situazioni possano essere assimilate a quella del disavanzo di amministrazione. La dichiarazione di dissesto certifica infatti l’incapacità dell’ente di garantire le funzioni e i servizi essenziali o di far fronte ai creditori con le ordinarie modalità di risanamento del bilancio. Anche la procedura di riequilibrio finanziario pluriennale si applica a situazioni di squilibrio strutturale che potrebbero condurre al dissesto, dunque a un contesto ben più grave rispetto alla semplice esistenza di un disavanzo di amministrazione. Entrambe queste discipline, peraltro, comportano forti limitazioni all’autonomia degli enti: nel caso di dissesto, gli amministratori perdono i poteri di gestione sui rapporti anteriori alla dichiarazione, affidati a un organo straordinario di liquidazione, e subiscono significative restrizioni nell’attività successiva. Anche il piano di riequilibrio finanziario implica limitazioni stringenti ai poteri di gestione dell’ente.

Quanto all’esonero previsto per i comuni capoluogo di città metropolitana o di provincia, esso riguarda solo quelli con un disavanzo particolarmente elevato (superiore a una certa soglia) che abbiano sottoscritto accordi con lo Stato, assumendo specifici impegni per un rientro più efficace e accettando limitazioni ai poteri di gestione.

Pertanto, la censura regionale risulta infondata, in quanto pretenderebbe di assimilare situazioni diverse. Tale conclusione troverebbe ulteriore conferma nel fatto che gli enti locali con piani di rientro simili a quelli delle Regioni non sono stati esonerati dal contributo alla finanza pubblica.

La modalità di versamento del contributo

Relativamente alla censura sollevata dalla Regione Campania, secondo cui la norma impugnata non permetterebbe alle Regioni in piano di rientro di iscrivere il contributo alla finanza pubblica in un capitolo specifico del proprio bilancio anziché versarlo direttamente allo Stato, la Corte ha rilevato che tale obiezione è stata in parte superata dalla nuova disciplina introdotta dall’art. 19 del d.l. n. 113 del 2024. Quest’ultimo, infatti, per l’anno 2024, ha previsto una modalità di versamento del contributo sostanzialmente conforme a quella auspicata dalla Regione. Pertanto, almeno per il 2024, viene dichiarata dalla Corte la cessazione della materia del contendere.

Diversa è la questione relativa all’applicazione della norma per gli anni dal 2025 al 2028, che la Corte ritiene invece infondata. Secondo i Giudici, infatti, con questo motivo di ricorso, la Regione mira a ottenere una pronuncia manipolativa che consenta alle Regioni in piano di rientro di adempiere al contributo alla finanza pubblica attraverso un meccanismo di “autovincolo”: anziché versare le somme allo Stato, esse verrebbero mantenute nel bilancio regionale e destinate al maggiore recupero del disavanzo. Questa richiesta implica l’introduzione di un regime speciale per le Regioni con disavanzo in corso di ripiano, differenziato da quello stabilito in via generale dal legislatore statale, che ha inteso privilegiare, almeno in attesa del completo adeguamento alla nuova governance economica europea, un meccanismo che garantisca il conseguimento certo e tempestivo degli obiettivi di finanza pubblica.

Inoltre, non è ritenuto pertinente il richiamo alle sentenze n. 101 del 2018 e n. 247 del 2017, che riconoscono la piena disponibilità dell’avanzo di amministrazione da parte dell’ente che lo ha maturato. In quei casi, infatti, la Corte si pronunciava su regole generali relative all’equilibrio di bilancio, escludendo interpretazioni che potessero comprimere l’autonomia finanziaria degli enti. Nel caso in esame, invece, la norma impugnata non riguarda l’intangibilità dell’avanzo, ma si inserisce in una logica di contenimento della spesa pubblica complessiva e riduzione dell’indebitamento netto, indipendentemente dalla provenienza delle risorse che ne risultano indirettamente coinvolte.

Riparto della competenza: il ruolo dello Stato e delle Regioni

La Corte, esaminando gli ulteriori motivi di ricorso, rileva innanzitutto che, secondo la sua costante giurisprudenza, le norme statali che impongono limiti alla spesa delle Regioni e degli enti locali possono qualificarsi come principi fondamentali di coordinamento della finanza pubblica, a condizione che si limitino a stabilire un contenimento complessivo e transitorio della spesa corrente (ex plurimis, Corte cost. n. 103 del 2018). In linea con tale orientamento, le disposizioni impugnate perseguono l’obiettivo di contenere la spesa pubblica delle amministrazioni regionali, determinando esclusivamente l’importo complessivo del contributo richiesto alle Regioni a statuto ordinario, senza imporre vincoli sulle voci di spesa su cui attuare i risparmi. Il riparto tra le Regioni è espressamente demandato a un accordo in sede di autocoordinamento, lasciando così ampi margini di autonomia sulle aree d’intervento. Inoltre, in caso di mancato accordo entro il termine stabilito, l’eventuale intervento sostitutivo dello Stato si limita a definire gli importi dovuti da ciascuna Regione, senza imporre ulteriori restrizioni, se non l’esclusione delle spese destinate ai diritti sociali e alla sanità.

In coerenza con tali principi, la Corte ha ritenuto che la previsione del versamento diretto del contributo costituisce una norma puntuale e non di principio nell’ambito della competenza concorrente in materia di coordinamento della finanza pubblica. Secondo un consolidato orientamento, infatti, possono rientrare in tale ambito anche disposizioni specifiche, purché adottate per garantire concretamente la finalità del coordinamento finanziario (Corte cost. n. 78 del 2020). È proprio la finalità perseguita dalla norma a escluderne la natura meramente dettagliata, qualora essa risulti strettamente connessa e necessaria all’attuazione dei principi di coordinamento (ex plurimis, Corte cost. n. 137 del 2018).

La Regione Campania ha sostenuto, inoltre, che la norma impugnata determinerebbe un’illegittima sottrazione di risorse regionali da parte dello Stato. Nello specifico, qualora il contributo statale incidesse sui gettiti di tributi regionali (come l’addizionale IRPEF e l’IRAP), si realizzerebbe una compressione dell’autonomia tributaria regionale, alterando i principi fondamentali del federalismo fiscale. Tuttavia, la Corte ha ritenuto che tale effetto non sia riconducibile alla norma impugnata. Infatti, il comma 527 stabilisce che, in caso di mancato versamento da parte della Regione entro il termine previsto (30 giugno di ciascuno degli anni dal 2025 al 2028), il Dipartimento della Ragioneria Generale dello Stato provvederà al recupero mediante una corrispondente riduzione delle risorse statali spettanti alla Regione, senza intaccare direttamente i gettiti dei tributi regionali.

Un’ulteriore censura riguarda la previsione del quinto periodo del comma 527, che prevede la riduzione delle risorse spettanti alle Regioni in caso di inadempimento nell’erogazione del contributo. Secondo la Regione ricorrente, tale disposizione potrebbe consentire allo Stato di recuperare l’importo non versato anche attraverso la riduzione delle risorse destinate alla sanità e alle politiche sociali, in apparente contrasto con il terzo periodo dello stesso comma, il quale stabilisce che il riparto del contributo tra le Regioni debba escludere le spese afferenti alla missione 12 (Diritti sociali, politiche sociali e famiglia) e alla missione 13 (Tutela della salute). La Corte ha ritenuto fondata questa censura, rilevando l’intrinseca contraddittorietà della previsione. Infatti, essa finisce per disconoscere la tutela differenziata della spesa costituzionalmente necessaria, in violazione dell’art. 3 Cost. Conseguentemente, lo Stato non può ridurre le risorse destinate alla sanità e ai diritti sociali per compensare il mancato versamento del contributo, dovendo invece agire su altri ambiti di spesa privi della medesima priorità.

Infine, è stato accolto anche il ricorso relativo alla legittimità costituzionale del comma 557 dell’art. 1 della legge n. 213 del 2023. La Corte ha ribadito che le disposizioni impugnate rientrano nella materia concorrente della “tutela della salute” e ha confermato che l’attuazione del modello pluralistico previsto dalla Costituzione richiede una leale collaborazione tra Stato e Regioni (Corte cost. n. 168 del 2021). Di conseguenza, è stata dichiarata l’illegittimità costituzionale del comma 557 nella parte in cui non prevede che il decreto del Ministro della salute, di concerto con il Ministro dell’economia e delle finanze, sia adottato previa intesa con la Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le Regioni e le Province autonome di Trento e Bolzano.

Conclusioni

La Corte costituzionale, in definitiva, con la sentenza sopra esaminata, ha respinto le principali obiezioni sollevate dalla Regione Campania, chiarendo che l’obbligo di contribuire alla finanza pubblica è compatibile con i principi di responsabilità finanziaria e di buona amministrazione, indipendentemente dal fatto che l’ente sia sottoposto ad oneri ulteriori derivanti da piani di rientro.

Nondimeno, la Corte ha accolto altre censure formulate dalla Regione, sottolineando l’importanza di un maggiore allineamento con i principi costituzionali che tutelano i diritti sociali e il diritto alla salute. A tal fine, ha esortato a un maggiore coordinamento e collaborazione tra tutti gli enti coinvolti.