Diritto di accesso del paziente alla cartella clinica

Sanità digitale e IA

Il medico non può chiedere un esborso per la prima copia.

La Corte di Giustizia dell’Unione Europea (di seguito, “CGUE”) ha recentemente emesso – su rinvio pregiudiziale del Bundesgerichtshof (Corte Federale di Giustizia Tedesca) – un’interessante decisone (causa C‑307/22) inerente ad aspetti chiave nella tutela dei dati personali e, in particolare, al diritto di accesso ai dati personali nel settore sanitario e alle sue conseguenze per i medici e altri professionisti del settore.

La questione nasce dal rifiuto del dentista “FT” di consegnare gratuitamente una prima copia della cartella clinica al suo paziente “DW”. In particolare, sospettando che fossero stati commessi errori durante il trattamento che gli era stato somministrato, DW chiedeva a FT la consegna, a titolo gratuito, di una prima copia della sua cartella clinica.

FT si rendeva disponibile a consegnare quanto richiesto, a condizione che DW si facesse carico delle spese connesse alla fornitura di detta copia, come previsto dall’art. 630g, par. 2 del Bürgerliches Gesetzbuch (Codice Civile Tedesco, di seguito, il “BGB”).

Procedimento principale e rinvio pregiudiziale alla CGUE

Determinato a ottenere una prima copia della propria cartella clinica senza alcun esborso, DW sottoponeva la questione al Giudice nazionale.

In primo grado e in appello, il Giudice tedesco accoglieva la domanda di DW interpretando la normativa nazionale applicabile alla luce del principio di gratuità delle informazioni fornite all’interessato di cui all’art. 12, par. 5 del Regolamento Generale sulla Protezione dei Dati Personali (di seguito, “RGPD”), nonché dell’art. 15, par. 1 e 3 del medesimo regolamento, secondo cui il titolare del trattamento può addebitare un contributo per le spese sostenute solo in caso di ulteriori copie richieste dall’interessato.

FT decideva, quindi, di ricorrere avanti al Bundesgerichtshof, il quale riteneva che la soluzione della controversia dipendesse dall’interpretazione delle disposizioni del RGPD.

In particolare, da un lato il Giudice tedesco rilevava che, in forza del diritto nazionale, il paziente può ottenere una copia della sua cartella clinica a condizione di rimborsare al professionista le spese che ne derivano. Dall’altro, il combinato disposto degli artt. 15, par. 3 e 12, par. 5 del RGPD lasciano intendere che il titolare del trattamento (nel caso di specie, il medico), è tenuto a trasmettere al paziente una prima copia della sua cartella clinica a titolo gratuito.

Inoltre, il Giudice del rinvio rilevava che:

  • considerando 63 del RGPD prevede il diritto dell’interessato di accedere ai propri dati personali per accertare l’esistenza di un trattamento di tali dati e per verificarne la liceità, mentre DW, nel caso di specie, aveva chiesto una prima copia della sua cartella medica al fine di far valere un’eventuale responsabilità di FT;
  • l’art. 23, par. 1 del RGPD consente l’adozione di misure legislative nazionali che limitino la portata dei diritti degli interessati qualora tale limitazione rispetti l’essenza dei diritti e delle libertà fondamentali e sia una misura necessaria e proporzionata per salvaguardare uno degli obiettivi previsti da detta disposizione. Nel caso di specie, FT riteneva che l’art. 630g, par. 2 del BGB fosse una misura necessaria e proporzionata al fine di tutelare i legittimi interessi dei professionisti sanitari, consentendo, attraverso l’esborso delle spese connesse alla fornitura della copia della cartella clinica, di prevenire richieste di copia immotivate da parte dei pazienti interessati.

Alla luce di ciò, il Bundesgerichtshof decideva di sospendere il procedimento e di sottoporre alla CGUE, per quanto qui interessa, le seguenti questioni pregiudiziali.

Prima questione pregiudiziale: la gratuità delle informazioni rese all’interessato al di là della finalità della richiesta

Con la prima questione, il Giudice del rinvio chiedeva, in sostanza, se l’art. 12, par. 5 e l’art. 15, par. 1 e 3 del RGPD dovessero essere interpretati nel senso che l’obbligo di fornire all’interessato, a titolo gratuito, una prima copia dei suoi dati personali gravi sul titolare del trattamento, anche qualora tale richiesta sia motivata da uno scopo diverso da quello di verificare l’esistenza di un trattamento di tali dati e la relativa liceità.

La soluzione data dalla CGUE a questa prima questione è stata positiva, sulla base delle seguenti considerazioni:

  • secondo giurisprudenza costante, al fine di interpretare una disposizione del diritto dell’Unione Europea occorre tenere conto non solo della sua formulazione ma anche del contesto e degli obbiettivi perseguiti dalla normativa di cui fa parte
  • dal combinato disposto degli artt. 12, par. 5 e 15, par. 1 e 3 del RGPD risulta, da un lato, il diritto per l’interessato di ottenere una prima copia a titolo gratuito dei suoi dati personali e, dall’altro, la facoltà offerta al titolare del trattamento, solo a determinate condizioni, di addebitare all’interessato spese ragionevoli che tengano conto dei costi amministrativi, o di rifiutare di soddisfare una richiesta se quest’ultima è manifestamente infondata o eccessiva
  • né la formulazione dell’art. 12, par. 5, del RGPD né quella dell’art. 15, par. 1 e 3, di tale regolamento subordinano la fornitura, a titolo gratuito, di una prima copia dei dati personali al fatto che gli interessati invochino un motivo diretto a giustificare le loro richieste
  • data l’importanza che il RGPD attribuisce al diritto di accedere ai dati personali oggetto di trattamento, il relativo esercizio non può essere subordinato a condizioni che non siano state espressamente previste dal legislatore dell’Unione, come avverrebbe nel caso in cui l’interessato fosse obbligato ad invocare uno dei motivi menzionati al considerando 63 del RGPD.

Seconda questione pregiudiziale: le possibili limitazioni al diritto alla protezione dei dati personali ai sensi dell’art. 22 del RGDP

Con la seconda questione, il Giudice del rinvio chiedeva, invece, se l’art. 23, par. 1, lettera i) del RGPD dovesse essere interpretato nel senso che esso non impedisce ad una normativa nazionale, adottata prima dell’entrata in vigore del medesimo Regolamento, di porre a carico dell’interessato le spese di una prima copia dei suoi dati personali per tutelare gli interessi economici del titolare del trattamento.

La CGUE ha risolto la seconda questione in senso negativo. In particolare, dopo aver sottolineato l’irrilevanza del momento di entrata in vigore della norma nazionale potenzialmente limitante il diritto alla protezione dei dati personali (ossia, se prima o dopo l’entrata in vigore del RGPD), la Corte rilevava che il regime tariffario previsto all’articolo 630g, par. 2 del BGB per la fornitura di una pima copia della cartella clinica al paziente mira, in primo luogo, a tutelare gli interessi economici dei professionisti sanitari, al fine di dissuadere i pazienti dal formulare inutilmente richieste di copia della loro cartella clinica.

Ciò premesso, la Corte evidenziava come detti interessi economici siano già presi in considerazione dal legislatore dell’Unione, agli artt. 12, par. 5 e 15, par. 3 del RGPD, i quali definiscono le circostanze in cui il titolare del trattamento può chiedere il pagamento delle spese connesse alla fornitura di una copia dei dati personali.

Pertanto, il perseguimento dell’obiettivo connesso alla tutela degli interessi economici dei professionisti sanitari non può giustificare una misura che porti a rimettere in discussione il diritto di ottenere, a titolo gratuito, una prima copia dei dati personali dell’interessato.

Conclusioni

In ragione di quanto sopra analizzato, la Corte ha rinviato la questione al Bundesgerichtshof enunciando i seguenti principi interpretativi:

  • l’art. 12, par. 5 e l’art. 15, par. 1 e 3 del RGPD devono essere interpretati nel senso che l’obbligo di fornire all’interessato, a titolo gratuito, una prima copia dei suoi dati personali grava sul titolare del trattamento anche qualora tale richiesta sia motivata da uno scopo estraneo a quelli di cui al considerando 63 del medesimo Regolamento
  • l’art. 23, par. 1, lettera i) del RGPD deve essere interpretato nel senso che una normativa nazionale adottata prima dell’entrata in vigore di tale regolamento può rientrare nell’ambito di applicazione di detta disposizione. Una siffatta facoltà, tuttavia, non consente di adottare una normativa nazionale che, al fine di tutelare gli interessi economici del titolare del trattamento, ponga a carico dell’interessato le spese di una prima copia dei suoi dati personali.

In conclusione, la CGUE ha voluto sottolineare come il diritto dell’interessato e, in particolare, ad ottenere dal titolare del trattamento una prima copia dei propri dati personali debba essere caratterizzato dall’elemento della gratuità, al di là della motivazione per cui l’interessato richiede l’accesso. Inoltre, eventuali richieste di esborso previste dalla normativa degli stati comunitari per ottenere detta prima copia non sono ammissibili ai sensi dell’art. 23, par. 1 del RGPD, in quanto la tutela dei meri interessi economici dei titolari del trattamento non giustifica una compressione del diritto di accesso degli interessati.

La decisione della CGUE costituisce, quindi, un monito per medici e professionisti sanitari a rivedere le proprie pratiche relative alla gestione delle cartelle cliniche e, in particolare, alla previsione di qualsiasi forma di esborso per l’accesso ad una loro prima copia da parte del paziente.