Danno da farmaci: la responsabilità del produttore farmaceutico

Responsabilità

La responsabilità del produttore di farmaci/della casa farmaceutica per danno da prodotto difettoso nella giurisprudenza italiana

Origine della disciplina

La questione del regime di responsabilità civile applicabile al produttore di farmaci ha iniziato a essere oggetto di vivace dibattito a partire dalla metà del secolo scorso, quando l’industrializzazione del settore ha soppiantato il sistema tradizionale incentrato sulla figura del farmacista, l’unica persona in grado di garantire la qualità e la purezza dei prodotti che vendeva e nei cui confronti si rivolgevano le pretese risarcitorie.
L’industrializzazione aveva infatti fatto emergere l’inadeguatezza dei rimedi tradizionali per far fronte ai danni derivanti, in generale, da prodotti: il rimedio contrattuale si rivelava inadeguato poiché nei sistemi di produzione e consumo di massa il venditore è un soggetto diverso da colui che ha prodotto il bene, nei cui confronti l’acquirente finale non ha alcun rapporto contrattuale e non può dunque esperire alcuna azione di responsabilità contrattuale; il rimedio aquiliano si rivelava parimenti inadeguato per la difficoltà che incontra il danneggiato nell’individuare il soggetto responsabile nell’ambito degli intricati sistemi produttivi moderni e di provarne l’elemento soggettivo, data la sua scarsa conoscenza dei processi industriali. 

Il regime di responsabilità applicabile al produttore di medicinali per i danni derivanti dalla loro assunzione rappresenta tutt’ora una questione dibattuta nella giurisprudenza italiana, che talvolta inquadra la fattispecie nella responsabilità dell’esercente attività pericolose ex art. 2050 c.c., e altre volte nella responsabilità del produttore ex artt. 114 ss. cod. cons.
[Diverse sono peraltro le questioni di rilevanza penalistica che il settore farmaceutico solleva: dal problema della contraffazione dei farmaci, alla responsabilità per la distribuzione di medicinali pericolosi, fino al reato di comparaggio].

La responsabilità della casa farmaceutica nella prospettiva dell’art. 2050 c.c.

Le prime decisioni giudiziarie italiane relative ai danni provocati dall’assunzione di farmaci risalgono agli anni ’70 del ‘900 e riguardano il Trilergan, un farmaco commercializzato in Italia a partire dai primi mesi del 1974 fino al dicembre dello stesso anno, quando fu ritirato dal commercio dal Ministero della Sanità a seguito di alcuni casi di epatite virale di tipo B verificatesi in tutto il territorio nazionale (cfr., sulla vicenda Trilergan, Mantelero, I danni di massa da farmaci, in Le responsabilità in medicina, cit., 500 ss.).
In tale vicenda, la Corte di cassazione ha inquadrato per la prima volta la responsabilità del produttore di farmaci nell’alveo dell’art. 2050 c.c., superando l’orientamento dei giudici che si erano pronunciati fino a quel momento sulla vicenda sussumendola nella responsabilità aquiliana ex art. 2043 c.c. (sentenza del 15 luglio 1987, n. 6241, in Foro it., 1988, I, 143 ss.). 

Per inquadrare il danno provocato dal Trilergan nella fattispecie ex art. 2050 c.c., la Corte Suprema ha richiamato alcuni propri precedenti, secondo i quali, ai fini della responsabilità sancita dall’art. 2050 c.c., “sono pericolose, fra le altre, le attività prese in considerazione dalla legge per la tutela della pubblica utilità (e la prevenzione degli infortuni), e quelle che, pur non essendo specificate o disciplinate, abbiano una rilevante potenzialità dannosa, intrinseca o comunque dipendente dai mezzi adoperati” (Cass. 24 novembre 1971, n. 3415: Id. 8 gennaio 1969, n. 3227; Id. 31 marzo 1967, n. 746; Id. 7 luglio 1964, n. 1777 e Id. 25 gennaio 1960, n. 63).
Ciò premesso, la Corte ha rilevato l’esistenza di tutta una serie di leggi e regolamenti che, al fine di tutelare la pubblica utilità, disciplinano specificamente l’attività di produzione, commercio, esportazione e importazione degli emoderivati, oltre alla presenza di disposizioni penali che, sulla base di una presunzione assoluta di pericolosità per la salute pubblica, puniscono la detenzione e il commercio di farmaci imperfetti (artt. 443 e 452 c.p.). Dalla presenza di questo compendio normativo, la Corte Suprema ha desunto la potenziale pericolosità per la pubblica incolumità del prodotto farmaceutico, la cui produzione costituisce, dunque, “attività dotata di potenziale nocività intrinseca”, inquadrabile nell’ambito di applicazione dell’art. 2050 c.c.

Tale inquadramento consente di superare le criticità riscontrate nel contesto dei danni derivanti da prodotti, poiché la fattispecie ex art. 2050 c.c., configurando un’ipotesi di responsabilità extracontrattuale, è esperibile anche nei confronti del produttore con il quale il danneggiato non ha alcun rapporto contrattuale, e, contemplando una presunzione di responsabilità, solleva l’attore dall’onere di provare la colpa del danneggiato.

I principi affermati dalla Cassazione nel caso Trilergan sono stati ribaditi dalla prevalente giurisprudenza successiva, la quale ha continuato a inquadrare la responsabilità del produttore di medicinali nella fattispecie ex art. 2050 c.c., nonostante fosse medio tempore entrato in vigore il d.p.r. n. 224/1988 che, in attuazione della direttiva 85/374/CEE, ha introdotto in Italia una fattispecie ad hoc di responsabilità del produttore per i danni derivanti da prodotti difettosi (oggi disciplinata dagli artt. 114-127 cod. cons.). 

In particolare, sono espressione di tale orientamento:

  • la sentenza del Tribunale di Roma del 20 aprile 2002 sul caso Isomeride (in Resp. civ. prev., 2002, 1103-1112, con nota di Carnevali, Farmaco difettoso e responsabilità dell’importatore-distributore); 
  • la sentenza della Cassazione n. 7441 del 31 marzo 2011 sul caso Rotil (in Rass. dir. farm., 2007, 3, 602-605); la sentenza della Cassazione n. 6587 del 7 marzo 2019 sul caso Neudoplamox (in Resp. civ. prev., 2019, 1587-1608, con nota di Montinaro, Responsabilità del produttore di farmaci, art. 2050 c.c. e gestione precauzionale del rischio);
  • la sentenza della Corte d’appello di Milano n. 1353 del 30 aprile 2021 sul caso Cabaser (in Resp. civ. prev., 2021, 1617-1641, con nota di Cerlon, La responsabilità del produttore farmaceutico tra tutela della salute ed esigenze produttive. È tempo di una nuova strategia).

La responsabilità della casa farmaceutica nella prospettiva della responsabilità del produttore

Da un esame della giurisprudenza in materia di responsabilità per danni derivanti dall’assunzione di farmaci, si riscontrano solo due pronunce che hanno sussunto la responsabilità del produttore farmaceutico nell’alveo della responsabilità per danno da prodotto difettoso ex artt. 114 ss. cod. cons., quali Cass. luglio 2015, n. 15851 (in Danno e resp., 2016, 41-50, con nota di Menga, Responsabilità da farmaco difettoso: il delicato equilibrio tra tutela della salute e la salvaguardia delle esigenze della produzione) e Cass. 10 maggio 2021, n. 12225 (in Nuova giur. civ. comm., 2021, 1145 ss., con nota di Fusaro, Effetto avverso del farmaco: obblighi informativi e responsabilità).

Il caso Gafir: la Cassazione esclude la responsabilità del produttore farmaceutico

Con la sentenza n. 15851/2015, la Cassazione ha escluso la sussistenza della responsabilità del produttore del farmaco Gafir per i danni sofferti dall’attore a seguito della sua assunzione, poiché quest’ultimo non avrebbe provato il requisito del difetto del prodotto. 

In particolare, la Cassazione ha ritenuto che le plurime segnalazioni di effetti avversi del medicinale allegate dall’attore non sarebbero idonee a fondare la prova del difetto del farmaco, facendo un distinguo tra quelle antecedenti e quelle successive all’assunzione del medicinale: l’unica segnalazione antecedente non sarebbe sufficiente a fondare la responsabilità del produttore poiché potrebbe rientrare nella bassa percentuale di possibili effetti collaterali riportata nel foglietto illustrativo e inidonea a rendere il medicinale difettoso sulla scorta del criterio dell’analisi costi/benefici; rispetto alle segnalazioni successive opererebbe, invece, l’esenzione della responsabilità del produttore per il rischio da sviluppo tecnologico ex art. 118, comma 1, lett. e), cod. cons.
Sotto quest’ultimo profilo, la Corte ha individuato una serie di indici da cui può trarsi che lo stato delle conoscenze scientifiche e tecniche al momento in cui la convenuta ha commercializzato il prodotto non consentiva di considerare lo stesso come difettoso, rilevando che, in dieci anni di commercializzazione del principio attivo, era stata registrata una sola segnalazione di effetti collaterali, che i test tossicologici cui era stato sottoposto il prodotto avevano escluso effetti collaterali, che un noto clinico aveva espresso parere favorevole al suo utilizzo, e che il medicinale era regolarmente registrato presso il Ministero della Sanità. Un altro elemento indiziario utilizzato dalla Corte per ritenere sussistente la causa di esonero della responsabilità ex art. 118, comma 1, lett. e) è rappresentato dalla relazione con cui la Commissione Unica del Farmaco aveva proposto la revoca dell’autorizzazione, dalla quale emergerebbe l’incertezza circa le cause della differente tossicità epatica del prodotto.

Il caso Lipobay: la Cassazione riconosce la responsabilità del produttore farmaceutico

La Corte di cassazione ha invece riconosciuto la responsabilità del produttore farmaceutico nella sentenza n. 12225/2021, la quale trae origine dalla domanda risarcitoria formulata da un soggetto che, a seguito dell’assunzione del farmaco Lipobay 0.2 (un medicinale a base di statine prodotto da Bayer S.p.A.), aveva sviluppato la miopatia dei cingoli. Investita del ricorso, la Cassazione ha preliminarmente rilevato che, in tema di danno da prodotto difettoso, le norme di derivazione europea “vengono ad affiancarsi e non si sostituiscono alla disciplina dettata dall’ordinamento interno” in quanto “volte a realizzare un’armonizzazione globale – e non minima, ma nemmeno completa”. Ciò premesso, la Corte ha ripercorso i principi che regolano la responsabilità del produttore, per concludere che il giudice d’appello ne ha fatto corretta applicazione, e confermare così la responsabilità della convenuta-ricorrente. 

In primo luogo, la Corte ha rilevato che la responsabilità ex artt. 114 ss. cod. cons. configurerebbe un’ipotesi di responsabilità presunta (e non oggettiva), poiché il danneggiato è sollevato dall’onere di provare la colpevolezza del produttore, ma non anche da quello di dimostrare l’esistenza del difetto del prodotto e il collegamento causale tra difetto e danno, i quali possono però essere dimostrati anche tramite presunzioni semplici ex art. 2729 c.c. sulla scorta di elementi gravi, precisi e concordanti (sull’ammissibilità della prova presuntiva del difetto e del nesso di causalità, cfr. Cass. 29 maggio 2013, n. 13458; Cass. 26 giugno 2008, n. 17535; Cass. 2 marzo 2012, n. 3281).

Quanto alla nozione di difetto, la Cassazione ha ricordato che si tratta di un concetto normativo diverso dal vizio di cui all’art. 1490 c.c., che il livello di sicurezza prescritta non corrisponde a quello della sua più rigorosa innocuità e va valutato in considerazione delle circostanze specificamente indicante all’art. 117 cod. cons., e che il rispetto delle prescrizioni pubblicistiche e l’ottenimento dell’Autorizzazione di Immissione in Commercio non sono sufficienti a escludere la difettosità di un farmaco poiché realizzano soltanto un minimum di garanzia per il consumatore. 

La Cassazione si è poi soffermata sull’obbligo informativo, affermando che esso non può ritenersi assolto con la mera avvertenza generica del possibile effetto collaterale, ma richiede un’informativa completa e accurata, idonea a consentire al consumatore di effettuare una corretta valutazione dei rischi e dei benefici e di adottare tutte le necessarie precauzioni volte ad evitare l’insorgenza del danno. Con riferimento al caso di specie, la Corte ha escluso che la segnalazione nel foglietto illustrativo del possibile effetto collaterale potesse far venire meno il difetto del prodotto in quanto inidonea a consentire al consumatore una piena consapevolezza dei rischi assunti. 

Sulla scorta di ciò, la Cassazione ha rigettato il motivo di ricorso formulato dalla società produttrice, evidenziando che la Corte d’appello ha correttamente “ravvisato l’esistenza nella specie della difettosità del farmaco al momento della relativa commercializzazione a cagione del principio attivo (cerivastatina) in esso contenuto, determinante l’accentuato rischio di malattie del muscolo rispetto a dosi equipollenti di altre statine, e, pertanto, una minore sicurezza del medesimo rispetto ad altri farmaci della stessa categoria (ipocolesterolemizzanti) evidenziati nell’espletata CTU”. In altri termini, la Corte ha desunto il difetto del farmaco dall’esistenza di una possibile composizione alternativa idonea a curare la stessa patologia senza l’effetto collaterale contestato.

Ambivalenza della giurisprudenza italiana sulla responsabilità del produttore di farmaci

Da tale excursus giurisprudenziale emerge l’ambivalenza delle nostre Corti nell’individuazione del regime di responsabilità applicabile alle ipotesi di danni derivanti dall’assunzione di medicinali, oltre che nell’interpretazione della nozione di “difetto” del prodotto farmaceutico, talvolta basata sul criterio dell’analisi costi/benefici e altre volte sulla valutazione della possibilità di realizzare un prodotto con gli stessi effetti terapeutici ma senza gli effetti collaterali contestati (c.d. "reasonable alternative design"). Ciò determina una situazione di incertezza che rischia di minare l’effettività della tutela del danneggiato, leso proprio nel suo diritto fondamentale alla salute.