Il commissariamento della Regione Calabria per il rientro dal disavanzo sanitario: uno strumento efficace?

Trattamenti sanitari

Le misure di intervento per il riequilibrio del Servizio sanitario regionale

Quando le risorse finanziarie a disposizione delle Regioni non sono sufficienti a garantire i livelli essenziali di assistenza (LEA) fissati a livello centrale con decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri, può determinarsi una situazione di inefficienza del Servizio sanitario regionale. In questi casi, lo Stato interviene su due distinti livelli al fine di ripristinare una condizione di equilibrio del sistema, attraverso gli strumenti del piano di rientro e del commissariamento della sanità regionale.

I programmi operativi di riorganizzazione, di riqualificazione, di potenziamento del Servizio sanitario regionale sono oggetto di accordi stipulati dai Ministri della salute e dell’economia e delle finanze con le singole Regioni e devono contenere sia le misure di riequilibrio del profilo erogativo dei LEA, sia le misure per garantire l’equilibrio di bilancio sanitario.

Attualmente sono sottoposte alla disciplina dei piani di rientro sette Regioni: Abruzzo, Calabria, Campania, Lazio, Molise, Puglia e Sicilia.

Qualora nel corso delle verifiche periodiche i tavoli di monitoraggio del piano di rientro rilevino gravi inadempimenti delle Regioni in grado di incidere significativamente sull’efficacia delle azioni di risanamento, riequilibrio economico-finanziario e riorganizzazione del Servizio sanitario regionale, il Consiglio dei Ministri, su proposta del Ministro dell’economia e delle finanze e del Ministro della salute, sentito il Ministro per i rapporti con le Regioni, avvia la procedura di commissariamento della Regione.

Il commissario ad acta, eventualmente affiancato da sub-commissari, adotta tutte le misure previste dal piano di rientro e ogni altro atto o provvedimento necessario per attuarlo pienamente, compresi quelli di natura normativa, amministrativa, organizzativa e gestionale. Con la nomina del commissario, possono essere applicate anche diverse misure sanzionatorie alla Regione, come il blocco del turnover del personale, il divieto di effettuare spese non obbligatorie e l’aumento automatico delle aliquote fiscali IRAP e IRPEF.

Negli anni sono state attivate le procedure di commissariamento per le seguenti Regioni: il Lazio e l’Abruzzo dal 2008, la Campania dal 2009, la Calabria dal luglio 2010 e il Molise dal luglio 2009. Mediante l’emanazione di successivi DPCM, il 15 settembre 2016 è stata decisa l’uscita dal commissariamento della Regione Abruzzo, il 24 gennaio 2020 della Regione Campania e il 22 luglio 2020 della Regione Lazio.

Attualmente, sono in fase di commissariamento le Regioni Calabria e Molise.

Il caso della Regione Calabria: una vicenda mai conclusa

La Regione Calabria ha concluso l’accordo con i Ministri della salute e dell’economia per la definizione del piano di rientro nel dicembre 2009 e, dopo soltanto otto mesi, nel luglio 2010, è stata attivata la procedura di commissariamento.

Ad oggi, quantunque siano trascorsi quattordici anni dall’attivazione del regime di affiancamento statale al Servizio sanitario calabrese, non sono stati registrati sensibili miglioramenti né per quanto attiene alla somministrazione dei LEA, né in termini di riduzione del deficit sanitario.

Tra le molteplici ragioni del mancato raggiungimento degli obiettivi è stata ricondotta l’accentuata conflittualità tra la Regione commissariata e lo Stato, che ha caratterizzato nel tempo l’esperienza commissariale calabrese in antitesi alla cooperazione tra le pubbliche amministrazioni imposta dal principio di leale collaborazione.

Tale conflitto è stato in più occasioni anche oggetto di giudizio innanzi alla Corte costituzionale, la quale ha costantemente presidiato il perimetro applicativo dell’istituto del commissariamento dalle ingerenze regionali (tra le pronunce più recenti, cfr. Corte cost. 168/2021).

Una forte conflittualità, inoltre, ha contraddistinto il rapporto tra la struttura commissariale – dal 2014 al 2021 non coincidente con la persona del Presidente della Regione – e gli organi regionali di vertice, in ragione dell’evoluzione del regime di incompatibilità tra la carica di Commissario ad acta per i piani di rientro e gli incarichi istituzionali regionali. Ciò ha evidentemente determinato anche l’avvicendamento in rapida successione di diverse figure commissariali.

In particolare, però, il commissariamento della Regione Calabria si è contraddistinto per l’adozione da parte del legislatore nazionale di due decreti legge (c.d. decreti Calabria), il d.l. 30 aprile 2019, n. 35, e il d.l. 10 novembre 2020, n. 150, che si fondano, come si evince dalle rispettive denominazioni (“Misure emergenziali per il servizio sanitario della Regione Calabria e altre misure urgenti in materia sanitaria” e “Misure urgenti per il rilancio del servizio sanitario della regione Calabria e per il rinnovo degli organi elettivi delle regioni a statuto ordinario”), su ragioni di straordinaria necessità e urgenza, ravvisate nella tutela dei livelli essenziali di assistenza. Entrambi i decreti sono volti ad un’estensione dei poteri del commissario ad acta e al conseguente irrigidimento del modello commissariale.

L’adozione di misure emergenziali restrittive dell’autonomia regionale

Inizialmente, il restringimento dell’autonomia regionale nella materia della tutela della salute è stato contemperato dalla previsione di una durata limitata degli interventi legislativi emergenziali: l’art. 15, comma 1, del d.l. n. 35 del 2019 prescriveva la validità delle previsioni in esso contenute per un periodo di diciotto mesi dall’entrata in vigore; analogamente, l’art. 7, comma 1, del d.l. n. 150 del 2020 fissava l’operatività delle misure straordinarie «fino al raggiungimento degli obiettivi di cui all’articolo 1, comma 1, e comunque per un periodo non superiore a 24 mesi dalla data di entrata in vigore del presente decreto».

In entrambi i casi, tuttavia, i termini di validità indicati nei decreti si sono rivelati insufficienti per attuare le misure e raggiungere gli obiettivi prefissati. Per tale ragione, più di recente, l’art. 9, comma 1-quater, del d.l. 29 settembre 2023, n. 132, ha prorogato al 31 dicembre 2024 il periodo massimo di applicabilità delle misure a sostegno del Servizio sanitario della Regione Calabria.

Il potere sostitutivo dello Stato ex art. 120, comma 2, Cost., su cui si fonda la procedura di commissariamento, ha trovato dunque un ulteriore rafforzamento nell’istituto di elaborazione giurisprudenziale della c.d. chiamata in sussidiarietà: secondo questo schema lo Stato può ri-allocare a livello centrale una funzione amministrativa e regolarne la disciplina anche quando la materia appartiene alla competenza regionale concorrente, purché sussistano ragioni di esercizio unitario delle funzioni interessate, nel rispetto dei principi di sussidiarietà, differenziazione ed adeguatezza che ne regolano l’allocazione.

Senonché, come in più occasioni chiarito dalla stessa Consulta (a partire dalla nota sentenza Corte cost. 303/2003), è necessario che l’intervento statale sia il risultato di procedure volte ad assicurare la partecipazione dei livelli di governo coinvolti attraverso strumenti di cooperazione. Ebbene, le disposizioni contenute nella normativa emergenziale, volte nella maggior parte dei casi al rafforzamento dei poteri governativi a detrimento di quelli regionali, non sembrano rispettare a pieno le indicazioni provenienti dalla giurisprudenza costituzionale.

In definitiva, gli strumenti adoperati a livello centrale per fronteggiare l’emergenza sanitaria in Calabria hanno comportato un’evidente compressione dell’autonomia regionale, a maggior ragione se si considera che gli spazi riservati alla competenza regionale dalla chiamata in sussidiarietà sono stati limitati dal rafforzamento dei poteri del commissario ad acta.

Ne deriva, pertanto, che con l’adozione della disciplina emergenziale il Governo non si è limitato ad introdurre una deroga alla gerarchia delle fonti, ma si è spinto fino alla sostanziale sospensione dei poteri regionali nella materia concorrente della tutela della salute, delineando un nuovo modello sostitutivo ancora più incisivo rispetto a quello previsto dall’art. 120, comma 2, Cost.

La crisi dell’istituto del commissariamento

Il quadro delineato mette senz’altro in rilievo l’inadeguatezza, quantomeno con riferimento all’esperienza calabrese, dello strumento del commissariamento a fronteggiare la duratura situazione di emergenza sanitaria.

Se da un lato, infatti, l’inefficienza del Servizio sanitario era ascrivibile in origine ad una mala gestio radicatasi a livello locale, dall’altro lato non può non rilevarsi che la durata del commissariamento (che si protrae ininterrottamente dal 2010) si pone evidentemente in contrasto con la funzione di extrema ratio riconosciuta all’istituto: la straordinarietà della misura si è tradotta nell’esercizio di un potere di lunga durata, che incide in maniera considerevole sui criteri di riparto delle competenze concepiti a livello costituzionale.

Quanto sinteticamente evidenziato è sufficiente a suggerire un ripensamento degli strumenti volti a ristabilire una condizione di equilibrio in vista di una più generale sostenibilità del Servizio sanitario.

A fronte della sospensione dei meccanismi che, in un regime ordinario, consentono il controllo democratico degli elettori sui rappresentanti politici, è auspicabile un graduale (ri)trasferimento delle funzioni relative alla gestione sanitaria al livello locale, ferma restando la necessità di un controllo centrale sull’operato degli organi regionali. Il rischio, infatti, è che venga a determinarsi un eccessivo squilibrio (in parte già evidente) tra i contesti in cui si richiedono maggiori poteri in campo sanitario attraverso i meccanismi dell’autonomia differenziata ex art. 116, comma 3, Cost. e le Regioni che si ritrovano spogliate della gestione della voce più consistente del bilancio regionale.

Il Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza (PNRR), proprio al fine di rafforzare l’equità degli investimenti programmati, ha previsto che almeno il 40 percento delle risorse siano destinate ai territori del sud del Paese, a dimostrazione della rilevanza del riequilibrio territoriale.

Dette linee di intervento, da perseguire anche attraverso gli interventi innovativi e l’ausilio dell’ingente mole di risorse stanziate dal PNRR e dal pacchetto di riforme collegato alla Missione 6 “Salute”, confermano la coerenza fra le missioni del PNRR e, in particolare, l’importanza di considerare in modo integrato i fattori dell’inclusione, della coesione e della salute: un sistema sano non può prescindere da un riequilibrio territoriale incentrato sul superamento delle persistenti disuguaglianze riscontrabili anche in materia sanitaria.