La sanità territoriale nel Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza
La Missione 6 del Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza dispone, per quanto attiene alla componente n. 1, un intervento riformatore centrato sulle reti di prossimità e sull’assistenza sanitaria territoriale, con lo scopo di migliorare i servizi prossimi alla cittadinanza. Cuore di questa parte della riforma sanitaria è costituito dalle Case della Comunità (CdC), concepite nella duplice veste di centro organizzativo e presidio di cura.
La scelta di destinare una parte consistente dei finanziamenti europei all’implementazione dell’assistenza territoriale si basa sulla presa d’atto che i cambiamenti che hanno interessato il Paese negli ultimi anni (invecchiamento della popolazione, diffusione di patologie croniche e trasformazioni demografiche) impongono un adeguamento delle strutture e dei servizi per rispondere efficacemente alle esigenze di una società in evoluzione.
L’investimento, a livello nazionale complessivamente pari a due miliardi di euro per l’attivazione di 1.288 Case della Comunità entro la metà del 2026, che potranno allocarsi in edifici di nuova costruzione o in strutture già esistenti, finanzia la realizzazione di luoghi fisici di prossimità e di facile individuazione per i pazienti ove la comunità possa entrare in contatto con l’intero sistema di assistenza sanitaria, sociosanitaria e sociale.
L’istituzione delle Case della Comunità è stata accolta quale occasione per ovviare ad alcune delle attuali criticità che affliggono il SSN, fra le quali spicca la diversità tra i sistemi regionali nell’assistenza territoriale e l’oggettiva difficoltà nel far fronte ai bisogni di salute delle persone, soprattutto nelle situazioni caratterizzate da fragilità o cronicità (Cons. Stato, sez. cons., parere 10 maggio 2022, n. 881).
Le Case della Comunità non sono una novità in senso proprio, ma rappresentano piuttosto lo sviluppo e la riproposizione di modelli ed esperienze già delineati e suggeriti in passato, come quelli delle Case della Salute e delle strutture di prossimità, ma realizzati in modo solo marginale.
Il Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza, riorganizzando la rete della sanità territoriale, si è posto l’obbiettivo di garantire un’assistenza proattiva, personalizzata, multidisciplinare e di prossimità, ma che sia soprattutto in grado di gestire le interazioni con la rete ospedaliera e le altre reti di assistenza, non solo sanitaria, anche utilizzando gli strumenti della sanità digitale quali il Fascicolo Sanitario Elettronico (FSE)
Il modello organizzativo delle Case della Comunità
Il Decreto del Ministero della Salute n. 77 del 23 maggio 2022 “Regolamento recante la definizione di modelli e standard per lo sviluppo dell’assistenza territoriale nel Servizio Sanitario Nazionale”, in conformità alle prescrizioni del PNRR, ha definito gli standard organizzativi, qualitativi e tecnologici della rete di assistenza territoriale, con particolare riferimento alle Case della comunità che, congiuntamente agli Ospedali di Comunità e all’Assistenza Domiciliare Integrata, ne costituiscono la più importante articolazione.
Vengono delineati due differenti modelli organizzativi: quello delle Case della Comunità hub e quello delle Case della Comunità spoke.
Le prime, la cui fisionomia strutturale è stata meglio definita dalle Linee di indirizzo di Agenas del 10 giugno 2024 attuative del D.M. n. 77/2022, da costituirsi in rispondenza a una base demografica pari a 40.000-50.000 abitanti, rappresentano le strutture di vertice nel sistema, nonché la prima porta di accesso alle cure per il cittadino.
Nella CdC hub dev’essere obbligatoriamente garantita non solo la presenza di una variegata equipe sanitaria che spazia dal Medico di Medicina Generale e Pediatra di Libera Scelta, passando per il personale infermieristico, sociosanitario nonché amministrativo, fino agli assistenti sociali, ma anche una presenza medica e infermieristica 7 giorni su 7, 24 ore su 24, anche attraverso il servizio di continuità.
L’estesa articolazione dell’orario di attività nonché la compresenza di diverse professionalità sono funzionali a garantire che le CdC possano svolgere funzioni di primo livello, tenendo anche conto che dispongono delle competenze cliniche e strumentali adeguate a fornire risposte a situazioni di minore criticità e bassa complessità e ad assicurare una prima risposta sanitaria sul territorio.
Nello specifico, conformemente a quanto previsto dalle Linee di indirizzo di Agenas, alle CdC hub viene attribuito il compito di erogare un significativo numero di prestazioni che possono essere così ripartite e sintetizzate
- offrono assistenza al pubblico e supporto amministrativo-organizzativo ai pazienti mediante il PUA (c.d. Punto Unico di assistenza) nonché servizio di prenotazioni con collegamento al Centro Unico di prenotazione (CUP);
- erogano prestazioni di assistenza primaria erogata attraverso équipe multiprofessionali e continuità assistenziale, assistenza infermieristica, assistenza specialistica ambulatoriale di primo e secondo livello, assistenza domiciliare, assistenza sanitaria e sociosanitaria;
- costituiscono punto prelievi e forniscono attività diagnostica di base;
- favoriscono la partecipazione della Comunità, valorizzando forme di co-produzione.
Le CdC hub sono, quindi, destinate a divenire le sedi di riferimento in cui effettuare tutte le attività volte a garantire un accesso e una risposta coordinata ai bisogni della Comunità e la necessaria continuità assistenziale all’interno dei diversi programmi e percorsi di prevenzione e cura.
Le CdC spoke costituiscono, invece, le articolazioni territoriali periferiche con dotazioni di servizi molto più ridotta rispetto alle hub e il cui numero sarà autonomamente stabilito dalle singole regioni, perché sul punto non sono stati definiti, almeno a oggi, standard nazionali di riferimento.
La rete della sanità territoriale e il nodo delle Case della Comunità
Le Case della Comunità rappresentano un nodo fondamentale nella rete dei servizi territoriali, nella misura in cui sono poste al centro di una fitta trama di relazioni che si sviluppa principalmente in quattro direzioni:
- rete intra-CdC è costituita dalla messa in rete dei professionisti che svolgono la propria attività nella CdC o presso sedi che vi sono funzionalmente collegate;
- rete inter-CdC si instaura tra le Case della Comunità hub e quelle spoke;
- rete territoriale in forza della quale la CdC è messa in rete con gli altri settori assistenziali territoriali, quali l’assistenza domiciliare, gli ospedali di comunità, hospice e rete delle cure palliative, RSA, consultori e attività rivolte ai minori nonché altre forme di strutture intermedie e servizi;
- rete territoriale integrata che impone una messa in contatto tra le CdC e gli enti ospedalieri, soprattutto per quanto riguarda la gestione dei malati cronici più complessi e ad alto grado di instabilità.
Lo strumento attraverso cui si attua la messa in contatto tra le Case della Comunità e gli altri attori del sistema sanitario territoriale è la Centrale Operativa Territoriale (COT) che opera, ai sensi del D.M. n. 77/2022, come vettore di coordinamento e raccordo tra i nodi e i professionisti delle diverse reti.
Le funzioni di raccordo e coordinamento facenti capo alle Case di comunità rendono evidenti il centrale ruolo organizzativoattribuito alle stesse, con una innegabile vocazione a delineare un modello integrato di assistenza sociosanitaria uniforme su tutto il territorio nazionale.
Si assiste, pertanto, a un passaggio concettuale, nell’organizzazione dei servizi, dalla centralità dell’ospedale a quella del territorio. L’innovativo modello organizzativo dell’assistenza sanitaria territoriale, imperniato su un archetipo antropocentrico, prevede la rimodulazione dei servizi e delle prestazioni offerte affinché siano il più possibile prossimi all’utente raggiungendolo fino al suo domicilio, che diviene il primo e fondamentale luogo di cura[ref]L. Busatta, Potenzialità e aspetti critici del nuovo volto della sanità territoriale, tra esigenze di uniformità e difficoltà attuative, in Federalismi.it, 2023, 26, p. 31.[/ref].
Conclusioni e problemi aperti
L’istituzione delle Case della Comunità si caratterizza per un elevato tasso di complessità, in quanto non richiede solamente l’istituzione dei nuovi poli di assistenza territoriale, ma implica un deciso ripensamento delle modalità di intendere i servizi sanitari primari sia per gli utenti sia per i medici e gli altri professionisti sanitari, ma soprattutto una generale riforma dell’assistenza territoriale.
La compresenza di professionalità non solo mediche, ma anche infermieristiche, sanitarie e sociosanitarie, unitamente alla costituzione della Casa della Comunità come punto unico di accesso alle prestazioni sanitarie e alla possibile presenza in essa anche di servizi sociali e assistenziali, dovrebbe poter superare la frammentazione attuale e consentire la costruzione di servizi intorno alle necessità della persona. Verso tale direzione
Nonostante l’attuazione della riforma sia ancora alle battute iniziali, si scorgono alcune criticità che possono rallentare e indebolire l’attuazione del nuovo modello di assistenza territoriale.
I pazienti rischiano di bussare a case vuote: resta, infatti, il problema del reperimento del personale medico, paramedico e amministrativo, in grado di garantire, compatibilmente agli stringenti impegni di orari imposti dal Regolamento, le prestazioni di cura. Così come controverse sono le modalità attraverso le quali realizzare una effettiva sinergia tra i diversi professionisti presenti nelle Casa della Comunità, con contestuali problemi di inquadramento del rapporto di lavoro dei MMG e PLS, e nelle strutture sanitarie a esse funzionalmente collegati nonché con il Terzo Settore, posto che le CdC sono concepite come strumento attraverso cui coordinare tutti i servizi offerti sul territorio.
Sarà dunque necessario, tenuto conto della stratificazione normativa che caratterizza la materia e dell’approccio fortemente descrittivo fatto proprio dal D.M. n. 77/2022, coordinare tutte le altre fonti dell’ordinamento, lavorare per una proficua condivisione di obiettivi e metodi tra Stato e Regioni, nell’ottica della leale collaborazione, e procedere alla definizione precisa degli standard e delle modalità di attuazione dell’innovativo modello dell’assistenza territoriale fondato sulle Case della Comunità.