Intervento chirurgico in assenza di rianimazione: quale responsabilità della struttura sanitaria in caso di decesso del paziente?
I familiari di un paziente deceduto a seguito di un intervento chirurgico convenivano in giudizio la struttura sanitaria, contestando la decisione dei medici di eseguire l’operazione nonostante l’assenza di una sala di rianimazione.
Il Tribunale adito rigettava la domanda alla luce di una consulenza tecnica che attestava la corretta esecuzione dell’intervento e l’irrilevanza della circostanza addotta dagli attori, considerato il trasferimento tempestivo del paziente presso un altro ospedale, ove la rianimazione era stata tentata senza successo.
La Corte d’Appello riformava la decisione di primo grado, ritenendo incauta la scelta dei medici di operare in un luogo privo dei mezzi necessari per far fronte ad eventuali emergenze.
La questione veniva così sottoposta al vaglio della Corte di Cassazione, chiamata a stabilire in quali casi l’esecuzione di un intervento chirurgico all’interno di un presidio ospedaliero sprovvisto di un reparto di rianimazione rappresenta una condotta imprudente e genera, quindi, una responsabilità a carico della struttura sanitaria per fatto proprio dei suoi ausiliari.
La Cassazione chiarisce i limiti della responsabilità medica
Secondo il giudice di legittimità, la scelta del chirurgo di operare all’interno di una clinica priva di una sala di rianimazione non è di per sé imprudente, a condizione che la struttura sanitaria sia autorizzata ad eseguire interventi chirurgici. L’autorizzazione tiene, infatti, conto della mancanza delle attrezzature necessarie a fronteggiare eventuali complicanze post-operatorie, nonché della predisposizione di procedure di trasferimento immediato del paziente laddove necessario.
La responsabilità medica non può, quindi, essere dedotta dalla mera assenza di una sala di rianimazione all’interno della struttura sanitaria ove l’intervento è stato eseguito, ma deve discendere dall’accertamento della violazione di una specifica regola cautelare, in forza della quale il medico, valutato lo stato di salute del paziente, avrebbe dovuto astenersi dal compiere l’operazione.
La rilevanza del consenso informato prestato dal paziente
Come noto, il medico ha l’obbligo di informare il paziente di tutte le circostanze idonee ad incidere sul suo consenso informato al trattamento [ref]Cfr. art. 1 della legge n. 219/2017.[/ref], inclusa l’assenza di un reparto di rianimazione all’interno della struttura sanitaria . Con la pronuncia in commento, la Corte di Cassazione ha osservato che, nell’ambito del giudizio volto ad accertare l’imprudenza del chirurgo, assume particolare importanza il consenso informato prestato dal paziente, poiché equivale ad accettazione del rischio di essere trasferito in un altro ospedale in caso di emergenza. La volontà del paziente di sottoporsi al trattamento non è, però, sufficiente ad escludere la colpa del medico, dovendosi altresì accertare che le circostanze del caso concreto non imponevano l’adozione di maggiori cautele. Si tratta, dunque, di una concausa di esclusione della responsabilità medica, che il giudice dovrebbe tenere in debita considerazione ai fini della propria decisione. Tale impostazione sembra, però, attribuire un’eccessiva rilevanza al consenso prestato dal paziente, trascurando altri aspetti fondamentali, come la qualità della comunicazione intercorsa con il medico, la reale comprensione delle informazioni fornite da quest’ultimo e il contesto in cui egli ha espresso la propria volontà.