Risarcimento da TSO illegittimo: la vicenda processuale
Una signora agiva in giudizio nei confronti di più soggetti (un sindaco, ASL, alcuni medici, due agenti delle forze dell’ordine) a vario titolo ritenuti responsabili, in ultima istanza, del danno non patrimoniale (art. 2059 c.c.) da questa patito.
Ella deduceva, infatti, di essere stata sottoposta, per nove giorni, a trattamento sanitario obbligatorio, poi dichiarato illegittimo dal giudice, a seguito di un diverbio verificatosi nella piazza di un comune, che provocava l’intervento delle forze dell’ordine e infine di alcuni medici, che avanzavano richiesta di TSO, poi accolta nell’ordinanza a firma del sindaco.
Come si legge nella pronuncia in commento, l’ordinanza sindacale era stata in un secondo momento annullata, in quanto “totalmente priva di adeguata motivazione”.
In primo grado, il Tribunale rigettava le pretese risarcitorie dell’attrice: occorreva, infatti, provare che la sottoposizione al trattamento, pur illegittima e ingiustificata, avesse prodotto conseguenze risarcitorie, giacché, nel nostro ordinamento, la categoria del danno in re ipsa non trova cittadinanza.
La Corte d’Appello perveniva ad analoghe conclusioni, confermando il rigetto della domanda attorea sul presupposto del difetto di prova del danno, specie non patrimoniale. Si escludeva, altresì, la riconducibilità della privazione della libertà personale, derivante da TSO illegittimo, alla disciplina dell’ingiusta detenzione.
La Cassazione chiarisce i criteri di risarcimento del danno non patrimoniale
La Suprema Corte procede, anzitutto, a qualificare il trattamento sanitario obbligatorio – il cui primario referente normativo può essere rintracciato nell’art. 32, comma 2, Cost.[ref]Tra le altre fonti in materia di trattamenti sanitari obbligatori è bene ricordare, in particolare, la legge 23 dicembre 1978, n. 833, istitutiva del Sistema Sanitario Nazionale, preceduta dalla legge 13 maggio 1978, n. 180.[/ref] – quale “evento terapeutico straordinario, finalizzato alla tutela della salute mentale del paziente” e che può essere disposto – soddisfatte determinate condizioni nonché all’esito di una complessa ed articolata procedura – “anche senza il consenso informato dello stesso”[ref]Sul punto, cfr., altresì, le recenti Cass. 11 gennaio 2023, n. 509 e Cass. 18 settembre 2024, n. 25127, entrambe in Banca dati OneLegale.[/ref].
Sempre sul piano, per così dire, astratto, si ha modo di ribadire come il danno debba essere oggetto di prova, non potendo essere automaticamente desunto dall’annullamento del provvedimento di autorizzazione del TSO.
Con particolare riguardo al caso di specie, la Suprema Corte afferma che:
- è accertata e non contestata la limitazione della libertà personale, oltreché la sottoposizione a trattamenti sanitari imposti – che l’ordinanza definisce come “danno evento, ovvero il fatto illecito, nella sua materialità” – in quanto seguiti dall’annullamento dell’ordinanza autorizzativa del TSO;
- la disciplina dell’indennizzo da ingiustificata detenzione non è applicabile alle situazioni di illegittima sottoposizione ai trattamenti in esame;
- i giudici di merito non avrebbero adeguatamente motivato in ordine all’eventuale inconcludenza delle prove, né verificato il possibile ricorso al ragionamento presuntivo;
- “la illegittima privazione della libertà personale e la sottoposizione contro la propria volontà a trattamenti sanitari non consentiti ed indesiderati, consistendo in una ingiustificata compressione del diritto inviolabile alla libertà personale costituzionalmente tutelato, può essere causa di danno risarcibile anche a prescindere dal fatto che essa si associ ad un apprezzabile danno alla salute della persona”;
- occorre accuratamente considerare il danno non patrimoniale non solo e tanto in riferimento al pregiudizio alla salute, ma anche nei termini di “sofferenza vera e propria” e di “danno dinamico relazionale”.
In particolare: l’esame della condizione di fragilità del paziente
La Cassazione aggiunge, così, che la situazione di eventuale fragilità psicologica o psichica nella quale versa la paziente sottoposta alla misura illegittima non assurgerebbe certo a condizione di per sé ostativa rispetto alla risarcibilità del danno non patrimoniale; semmai, tale fattore potrebbe rilevare nel senso di implicare una maggiore complessità nell’accertamento delle conseguenze pregiudizievoli, sì da considerare anche la particolare condizione del danneggiato.
Pertanto, conclude la Corte, cassando la sentenza impugnata e rinviando alla Corte d’Appello in diversa composizione, “i comportamenti illeciti possono rilevare sotto il profilo del danno conseguenza come danno non patrimoniale, nelle sue componenti della sofferenza pura e del danno dinamico relazionale, anche nei confronti di una persona psicologicamente fragile e che non goda di elevata considerazione sociale, perché ogni persona ha diritto a non essere coinvolta illegittimamente in episodi che mettano (ancor più) a repentaglio il suo equilibrio e la sua reputazione pubblica”.
Opinare diversamente condurrebbe, infine, secondo i giudici di legittimità, ad una conseguenza estrema ed intollerabile, cioè “affermare che gli episodi di violenza, di minaccia, di dileggio che si consumano a danno di persone psichicamente instabili o comunque che si collocano ai margini della società, e di illegittima privazione della libertà personale nei confronti di queste persone non producono mai alcun danno perché queste persone anche prima non godevano di elevata considerazione sociale o perché le stesse, avendo un equilibrio fragile e instabile, non sono in grado di avvertire il peso delle umiliazioni o di soffrire per la privazione della propria libertà”.