È il principio di diritto espresso da una recente pronuncia della Corte di Cassazione (Cass., 23 ottobre 2023, n. 29308), che ha rigettato la tesi secondo cui andrebbe negato l’integrale ristoro degli esborsi per prestazioni di cura presso cliniche private al danneggiato che avrebbe potuto ricevere le stesse terapie, a costi inferiori, all’interno di una struttura sanitaria pubblica.
La questione di diritto sottoposta al vaglio del giudice di legittimità attiene all’applicabilità o meno al caso citato della norma codicistica (art. 1227 comma 2 c.c.) che esclude la risarcibilità del pregiudizio che il danneggiato avrebbe potuto evitare usando l’ordinaria diligenza (c.d. danno evitabile). Tale disposizione, che è espressione del principio di solidarietà, impone al danneggiato di adottare, nei limiti dell’apprezzabile sacrificio, un comportamento tale da limitare i pregiudizi conseguenti al fatto illecito altrui (BIANCA, Diritto civile, V, Milano, 1994, 143). Nel caso in esame, occorre chiarire se la condotta del danneggiato che, pur potendosi recare in una struttura sanitaria pubblica, si rivolga ad una clinica privata sia contraria ai canoni di buona fede e correttezza.
Alcune risalenti pronunce di merito hanno dato risposta affermativa a tale quesito, ritenendo che, nelle circostanze appena delineate, il ricorso a prestazioni terapeutiche presso cliniche private sia un mezzo “incongruo” tra quelli a disposizione del danneggiato per il ristoro del danno subito (Trib. Trieste 14 gennaio 1988; Trib. Roma 8 dicembre 2004; Trib. Milano 15 maggio 2012). L’integrale rimborso delle spese mediche veniva ammesso solo in presenza di determinate circostanze, quali l’urgenza delle cure (e, dunque, il pericolo di ulteriori pregiudizi derivanti dall’inserimento in liste d’attesa), o la comprovata impossibilità di ricevere cure adeguate all’interno di una struttura sanitaria pubblica.
La citata sentenza ha, invece, riconosciuto al danneggiato la possibilità di ottenere il rimborso della totalità delle spese sostenute per prestazioni mediche presso cliniche private per un duplice ordine di ragioni.
- Da un canto, non sussiste alcun obbligo a carico del danneggiato di rivolgersi al SSN e non è, perciò, possibile sanzionarlo per la scelta compiuta, riconoscendogli un rimborso di ammontare inferiore alle spese effettivamente sostenute.
- D’altro canto, la giurisprudenza di legittimità ha già riconosciuto la risarcibilità dei costi sopportati all’estero dal danneggiato per cure presso strutture sanitarie private [Cass., 27 ottobre 2015, n. 21782] e, pertanto, se si accogliesse la tesi opposta, si andrebbe incontro a un’ingiustificata disparità di trattamento a scapito di colui che, in conseguenza del fatto illecito altrui, decida di curarsi in cliniche private operanti nell’ambito del territorio nazionale.
La tesi sostenuta dal giudice di legittimità appare condivisibile per molteplici altre ragioni. Si consideri, in primo luogo, che la facoltà di scegliere il luogo in cui curarsi è una componente essenziale del diritto alla salute tutelato dall’art. 32 della Costituzione nonché manifestazione dell’autonomia decisionale che andrebbe garantita al paziente, in ragione della natura del bene giuridico in rilievo. In altri termini, considerato che la prestazione medica incide sul bene della salute, intimamente connesso alla persona del paziente, appare necessario riconoscere al danneggiato la libertà di rivolgersi alla struttura sanitaria, pubblica o privata, che ritenga più competente o dotata di mezzi più adeguati al raggiungimento dello scopo.
Inoltre, non si può non tener conto che tra medico e paziente si instaura una relazione di fiducia, che, ai sensi dell’art. 1 l. 22 dicembre 2017, n. 219 (Norme in materia di consenso informato e di disposizioni anticipate di trattamento), andrebbe valorizzata. È chiaro che, affinché possa costituirsi un simile rapporto, è fondamentale riconoscere al paziente la possibilità di scegliere il proprio medico, a prescindere che si tratti di una struttura sanitaria pubblica o privata (in questo senso, Corte d’App. Milano 10 dicembre 2014, n. 4435).
La tesi sostenuta dal giudice di legittimità è altresì corroborata dalla necessità di dare corretta applicazione al fondamentale principio dell’integrale riparazione del danno, secondo cui il risarcimento deve porre rimedio all’intero pregiudizio cagionato dal fatto illecito. La corresponsione al danneggiato di una somma inferiore a quella effettivamente spesa appare, infatti, una violazione di tale regola.
Da ultimo, va tracciata una distinzione tra l’ipotesi finora considerata e quella in cui il cittadino che si sia rivolto a una struttura sanitaria privata chieda al SSN il rimborso delle spese mediche ivi sostenute. In quest’ultimo caso, come chiarito dalla Corte costituzionale (Corte cost. 15 luglio 1994, n. 304), possono essere introdotti dal legislatore dei limiti alla rimborsabilità delle spese mediche per far fronte all’esigenza di bilanciare contrapposti interessi, rappresentati dalla salvaguardia del diritto del singolo di scegliere dove curarsi da un lato e dall’esigenza di contenere le spese pubbliche dall’altro. Ebbene, quest’ultima necessità non sussiste nei rapporti tra privati, cosicché non vi sarebbe motivo di limitare il rimborso da parte del danneggiante delle spese mediche sostenute dal danneggiato.
Posto che la circostanza che il danneggiato si sia rivolto a una struttura sanitaria privata non è di per sé idonea a fondare la riduzione del risarcimento del pregiudizio patrimoniale a lui spettante, va chiarito che l’applicazione del principio di proporzionalità consente di evitare ingiustificati arricchimenti del danneggiato. In altri termini, la garanzia di non aggravare in modo eccessivo la posizione del danneggiante è data dalla regola secondo cui possono essere rimborsate solo le spese per cure utili e necessarie.
Ne consegue l’impossibilità per il danneggiato di ottenere il ristoro di esborsi ingiustificati o eccessivi. In quest’ultimo caso, tornerebbe ad applicarsi l’art. 1227 comma 2 c.c. e, anzi, verrebbe meno lo stesso nesso di causalità tra la condotta del danneggiante e la spesa sostenuta dal danneggiato (Corte d’App. Milano n. 4435/2014, cit.). La Suprema Corte ha, dunque, censurato l’automatismo della riduzione del risarcimento nei casi sopra menzionati, ma non ha, di certo, riconosciuto al danneggiato la possibilità di chiedere e ottenere il rimborso delle spese che non possono essere ragionevolmente considerate conseguenze immediate e dirette del fatto illecito altrui.