29 novembre 2024

Assicurazioni su base claims made in ambito sanitario (ordinanza Cass. civ., sez. III, 26 luglio 2024, n. 20873)

Giurisprudenza

La (tormentata) vicenda delle clausole claims made

Appare ancora straordinariamente vitale il dibattito – ormai ultradecennale – relativo alla validità dei contratti di assicurazione su base claims made (letteralmente, “a richiesta fatta”).

Trattasi, come noto, di uno schema contrattuale invalso nella prassi assicurativa – e talvolta recepito dal legislatore (si veda, ad esempio, l’art. 11, legge n. 24/2017, di riforma della responsabilità sanitaria, c.d. legge Gelli-Bianco) – il quale, in linea generale, delimita l’oggetto della copertura assicurativa ai soli sinistri per i quali sia stata presentata una richiesta risarcitoria (claim) durante il tempo di efficacia della polizza. Diversamente, il paradigma codicistico dettato, in materia di assicurazione per la responsabilità civile, dall’art. 1917 c.c. prevede l’obbligo dell’assicuratore di indennizzare ogni danno conseguente a fatti commessi dall’assicurato durante il tempo di vigenza del contratto, a prescindere, quindi, dal momento in cui il terzo danneggiato abbia formalizzato la propria richiesta.

La giurisprudenza sulla clausola claims made: tra adeguatezza e decadenze

Il metodo claims made è stato oggetto di attento scrutinio da parte della giurisprudenza.
Sostanzialmente superate le censure in punto di vessatorietà e meritevolezza di tutela della clausola (quantomeno) ai sensi dell’art. 1322, comma 2, c.c., tra i più recenti profili d’indagine è possibile individuare il rilievo dedicato all’adeguatezza del metodo “a richiesta fatta” (art. 1322, comma 1, c.c.) e la sua compatibilità col divieto di decadenze convenzionali di cui all’art. 2965 c.c. – quest’ultima questione, lo si anticipa, è stata recentemente rimessa al vaglio delle Sezioni Unite. 

In tal senso emblematica è la recente pronuncia n. 20873, resa lo scorso 26 luglio dalla Terza sezione della Cassazione.

Claims made e malpractice sanitaria: l’ordinanza n. 20873/2024

Con l’ordinanza che si commenta, la Suprema Corte torna ad occuparsi dei profili di validità dei contratti assicurativi su base claims made.

Il contenzioso trae origine da un episodio di malpractice sanitaria: accertata la responsabilità dell’ente ospedaliero, il Tribunale condannava la struttura al risarcimento del danno. Ad analoghe conclusioni perveniva la Corte d’appello di Roma. Ritenendo pienamente operativa la polizza sottoscritta a tutela della responsabilità civile, i Giudici romani accoglievano la domanda di “manleva” dispiegata dal nosocomio nei confronti della compagnia d’assicurazione e, a fondamento di tale decisione, osservavano che:

  • la garanzia assicurativa valeva “per le richieste di risarcimento presentate per la prima volta nel corso del periodo di efficacia dell’assicurazione stessa, a condizione che tali richieste siano conseguenti atti colposi posti in essere durante il periodo di validità della garanzia e anche in data antecedente l’effetto della presente polizza e comunque non prima di tre anni dalla data di perfezionamento del presente contratto”. Il contratto in esame recava, quindi, una clausola claims made c.d. impura;
  • il periodo di efficacia della polizza, si legge, decorreva dal 31 dicembre 2003 al 31 dicembre 2004 e veniva in seguito prorogato sino al 31 dicembre 2005;
  • la clausola "claims made" “non superava il vaglio di cui al primo comma dell’art. 1322 c.c., essendo nulla per violazione dell’art. 2965 c.c.”. In ragione della sua struttura, tale pattuizione, a mente della Corte territoriale, “prevedeva un termine di decadenza dal diritto di far valere la prestazione assicurativa a carico dell’assicuratore che ne rendeva eccessivamente difficile l’esercizio, in quanto dipendente soltanto dalla condotta di un terzo, sulla quale l’assicurato non può influire”.

L’impresa d’assicurazione presentava, quindi, ricorso per cassazione, affidato a due motivi di ricorso: il primo, incentrato sulla violazione dell’art. 2965 c.c.; col secondo motivo, invece, si censurava il ricorso in chiave integrativa – operato, cioè, a valle della nullità parziale della clausola claims made (art. 1419 c.c.) – al (contrapposto) metodo loss occurrence, definito all’art. 1917 c.c.

La decisione della Suprema Corte: la claims made non integra una decadenza convenzionale

La censura prospettata dal ricorrente veniva accolta dai Giudici di legittimità, secondo i quali “In tema di assicurazione della responsabilità civile, la clausola claims made non integra una decadenza convenzionale, nulla ex art. 2965 c.c. nella misura in cui fa dipendere la perdita del diritto dalla scelta di un terzo, dal momento che la richiesta del danneggiato è fattore concorrente alla identificazione del rischio assicurato, consentendo pertanto di ricondurre tale tipologia di contratto al modello di assicurazione della responsabilità civile, nel contesto del più ampio genus dell’assicurazione contro i danni ex art. 1904 c.c., della cui causa indennitaria la clausola claims made è pienamente partecipe”.

Tale principio di pone in continuità con l’orientamento prevalente della giurisprudenza (Cass. civ., 23 maggio 2023, n. 14183; Cass. civ., 6 aprile 2023, n. 9476; più ampiamente, Cass. civ., 4 novembre 2020, n. 24468; Cass. civ., 21 novembre 2019, n. 30309). In effetti, occorre considerare, da un lato, che, nell’ambito del negozio in esame, il governo delle parti dovrebbe mantenersi estraneo alla definizione del rischio; dall’altro, la giurisprudenza ha da tempo osservato che il claim avanzato, anzitutto, dal terzo danneggiato, in quanto fatto estraneo alla sfera di controllo dell’assicurato, sarebbe del tutto coerente con la struttura del contratto di assicurazione contro i danni, trattandosi di “evento futuro, imprevisto od imprevedibile” (in questo senso cfr. Cass. civ., 22 aprile 2022, n. 12908).

Nell’accogliere il primo motivo di ricorso presentato dalla compagnia assicurativa, i Giudici di cassazione dichiaravano assorbita l’ulteriore questione relativa alla nullità parziale del contratto, dalla quale sarebbe discesa l’espunzione della clausola claims made e la sua sostituzione col modello codicistico.

La clausola claims made al vaglio delle Sezioni Unite

Con ordinanza n. 4294 dello scorso 16 febbraio, anch’essa resa a valle di un episodio di malpractice medica, la Suprema Corte individuava una “questione di diritto di particolare rilevanza” nella (pretesa) violazione, da parte del negozio claims made, degli artt. 1341 e 2965 c.c., così rimettendo alle Sezioni Unite il relativo vaglio. Tale questione, in effetti, veniva giudicata oggetto di esiti interpretativi divergenti, comunque tali da giustificare una remissione ai sensi dell’art. 375 c.p.c.

Il (terzo) pronunciamento del Supremo Consesso, peraltro, giungerebbe all’esito dell’approvazione del recente decreto attuativo n. 232/2023 (adottato per dare attuazione all'obbligo assicurativo previsto dalla legge n. 24/2017), il quale, all’art. 5 (rubricato, “Efficacia temporale della garanzia”), conferma l’originaria scelta della legge Gelli-Bianco di eleggere il modello claims made a formula legale del contratto assicurativo, alla cui stipulazione è tenuto l’intero comparto sanitario.