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25 giu 2025 07:00 25 giugno 2025

La responsabilità del produttore di farmaci: regimi concorrenti e divieto di ibridazione (Cass., Sez. III, 28 marzo 2025, n. 8224)

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Con la sentenza n. 8224 del 28 marzo 2025, la Cassazione si è pronunciata sulla responsabilità del produttore di medicinali, soffermandosi sui regimi di responsabilità applicabili e sul rapporto tra gli stessi. A tal proposito la Corte ha affermato che la responsabilità del produttore di farmaci può essere sussunta sia nella fattispecie ex art. 2050 c.c. (che disciplina la responsabilità per l’esercizio di attività pericolose), sia nella responsabilità aquiliana ex art. 2043 c.c., sia nella responsabilità del produttore ex artt. 114 ss. cod. cons. (sebbene, sotto quest'ultimo profilo, si riscontrino precedenti di segno opposto). Tali regimi di responsabilità non possono però essere tra loro sovrapposti o ibridati, dovendo ciascuno essere applicato in coerenza con i propri presupposti e criteri probatori.

I fatti di causa

Il caso origina dalla domanda risarcitoria proposta dall’attore contro GlaxoSmithKline Spa per un’encefalomielite insortagli dopo la somministrazione del vaccino antinfluenzale Fluarix, prodotto dalla convenuta. L’attore fondava la responsabilità sull’art. 2050 c.c. e/o sull’art. 2043 c.c., mentre il giudice di primo grado, accogliendo la domanda attorea, inquadrava la responsabilità della convenuta nell’alveo della responsabilità del produttore ex D.P.R. 224/1988 (oggi artt. 114 ss. cod. cons.).

La Corte d’Appello confermava la decisione, rigettando i motivi d’appello formulati dalla convenuta e ritenendo che quest’ultima non aveva provato di aver adottato tutte le misure necessarie per evitare il danno. Infatti, ad avviso del giudice di seconde cure, la produttrice non aveva svolto studi clinici mirati sugli effetti del vaccino in soggetti anziani con plurime comorbilità, nonostante questi ultimi rappresentassero il target naturale della vaccinazione antinfluenzale.

Il ricorso in Cassazione

Contro la sentenza d’appello, la società produttrice ha proposto ricorso per cassazione, formulando due motivi di ricorso. Con il primo motivo, la ricorrente ha censurato la sentenza d’appello poiché avrebbe erroneamente e confusamente applicato al caso in esame principi della responsabilità ex art 2050 c.c. e norme della responsabilità del produttore ex artt. 114 ss. cod. cons. In particolare, ad avviso della ricorrente, la Corte d’Appello avrebbe interpretato erroneamente l’esimente del rischio da sviluppo tecnologico ex art. 118, comma 1, lett. e), cod. cons. alla stregua della prova liberatoria della responsabilità dell’esercente attività pericolose ex art. 2050 c.c. Con il secondo motivo, ha contestato che il giudice d’appello avrebbe acriticamente aderito alla CTU, trascurando le osservazioni critiche del consulente tecnico di parte.

La decisione della Cassazione

La Suprema Corte, con la sentenza n. 8224/2025, ha accolto il primo motivo di ricorso, con assorbimento del secondo, e cassato la sentenza con rinvio al giudice d’appello in diversa composizione.

Nel motivare la decisione, la Corte ha premesso la distinzione sistematica tra la responsabilità da prodotto difettoso (artt. 114 ss. cod. cons.), quella aquiliana (art. 2043 c.c.) e quella per attività pericolose (art. 2050 c.c.), e ha rilevato la sussumibilità della responsabilità del produttore di medicinali in tutti tali regimi di responsabilità. La Corte ha però evidenziato che, pur essendo possibile per il danneggiato invocare regimi alternativi o concorrenti di responsabilità, ogni fattispecie dev’essere applicata autonomamente, secondo i suoi presupposti e criteri probatori, senza commistioni e “ibridazioni” tra regimi giuridici distinti.

Ciò premesso, la Cassazione ha evidenziato la differenza sussistente tra la prova liberatoria della responsabilità per l’esercizio di attività pericolose (consistente nell’aver adottato tutte le misure idonee a evitare il danno) e l’esimente del rischio da sviluppo tecnologico prevista dall’art. 118, comma 1, lett. e), cod. cons. A tal proposito, la Corte ha rilevato che «il contenuto della prova liberatoria richiesto dall’art. 2050 c.c. si rivela più circoscritto rispetto a quello previsto dalla legislazione consumeristica – la quale […] equipara di fatto il difetto sopravvenuto a quello esistente al momento dell’immissione in commercio, ma non riconoscibile, in base allo stato delle conoscenze tecnico-scientifiche – collocandosi ai margini del fortuito».

Sulla scorta di tali argomentazioni, la Cassazione ha accolto il ricorso, stabilendo che «la disciplina sulla responsabilità per danno da prodotti difettosi, di cui agli artt. 114-127 del d.lgs. n. 206/2005 (Codice del consumo) […] non esclude, né limita, secondo quanto previsto dall’art. 127 cod. cons. […], la possibilità per il danneggiato di usufruire della tutela somministrata da un regime di responsabilità differente da quello stabilito dalle anzidette disposizioni del codice del consumo (come, ad es., dalle fattispecie di responsabilità di cui agli artt. 2043 e 2050 c.c.)». Tuttavia, precisa la Corte, «una volta individuato [il regime] sulla scorta dei fatti allegati e provati, dovrà trovare applicazione in coerenza con la disciplina per esso specificamente dettata dal legislatore, senza potersi operare commistioni tra regimi di responsabilità diversamente regolati».