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19 lug 2025 12:00 19 luglio 2025

Danno da protesi difettosa, responsabilità aquiliana e “contatto sociale” (Cass. civ., sez. III, ord., 21 marzo 2025, n. 7629)

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Con la ordinanza n. 7629 del 21 marzo 2025, resa su un caso concernente danni causati da protesi difettose, la Terza Sezione della Cassazione civile torna sul tema della responsabilità del produttore, esaminandola da più punti di vista: quello delle norme di product liability, quello dell’ordinaria responsabilità per fatto illecito (art. 2043 c.c.) e quello – più inconsueto – di una ipotetica responsabilità di natura contrattuale da “contatto sociale”.

I fatti di causa

I fatti oggetto del giudizio sono di estrema semplicità: nel contesto di un intervento chirurgico tenutosi nel 2004, a un paziente vengono impiantate protesi d’anca successivamente rivelatesi difettose e dannose, che causano, tra l’altro, la dispersione di cobalto e cromo nel sangue del paziente stesso. Quest’ultimo conviene in giudizio la società produttrice delle protesi – la quale, medio tempore, aveva ritirato dal commercio le protesi in questione in quanto ritenute difettose – invocandone la responsabilità:

  • ai sensi delle norme di responsabilità da prodotto (artt. 114 ss. cod. cons.), per avere messo in commercio un prodotto difettoso e in quanto tale foriero di danno;
  • per fatto illecito ex art. 2043 c.c., sulla base della natura colposa della condotta del produttore;
  • sulla base del preteso “contatto sociale” ingeneratosi tra il produttore e il danneggiato.

Sia in primo che in secondo grado la domanda incontra integrale rigetto, mentre in Cassazione l’esito si rivela parzialmente diverso.

La decadenza della domanda relativa alla responsabilità da prodotto

Come è noto, l’art. 126 cod. cons. prevede che il diritto al risarcimento sulla base delle norme di responsabilità da prodotto «si estingue alla scadenza di dieci anni dal giorno in cui il produttore […] ha messo in circolazione il prodotto che ha cagionato il danno». Al riguardo, avendo il danneggiato agito in giudizio dopo il decorso di tale termine decennale – da computarsi, per l’appunto, necessariamente dall’immissione in commercio del bene, come previsto dalla norma – la Cassazione conferma che la domanda risarcitoria ex artt. 114 ss. cod. cons. non può trovare accoglimento.

Nemmeno trova seguito il tentativo del ricorrente di sostenere la incostituzionalità di tale termine decadenziale, che limiterebbe irragionevolmente la possibilità di agire per il risarcimento del danno da prodotto, escludendola per i casi di danni lungolatenti, riconoscibili solo a distanza di tempo. Non ci soffermiamo qui sulla articolata motivazione che conduce la Cassazione al rigetto di tale argomentazione, e ci limitiamo a ricordare, invece, come la nuova Direttiva 2024/2853 – che innova il regime di responsabilità da prodotto difettoso, e che dovrà essere recepita dagli Stati membri entro dicembre 2026 – sia intervenuta anche sul tema ora in esame.

L’art. 17 della Direttiva, infatti:

  • da un lato, conferma il termine decadenziale di dieci anni, decorrente «dalla data in cui il prodotto difettoso che ha causato il danno è stato immesso sul mercato o messo in servizio» oppure, nel caso di successiva modifica del prodotto, dalla «data in cui il prodotto è stato messo a disposizione sul mercato o messo in servizio a seguito della modifica sostanziale»;
  • dall’altro, ammette una deroga a tale norma, prevedendo che «se non ha potuto avviare un procedimento entro il termine di dieci anni» dalle date di cui sopra «a causa del periodo di latenza delle lesioni personali, il danneggiato non ha più diritto al risarcimento a norma della […] direttiva alla scadenza di un periodo di 25 anni».

L’insussistenza di una responsabilità da “contatto sociale” in capo al produttore

Il danneggiato sostiene, inoltre, che, pur in assenza di un rapporto negoziale diretto tra lo stesso e la società produttrice delle protesi in questione, l’impianto delle stesse rileverebbe comunque come fatto idoneo a produrre obbligazioni, e in particolare obblighi di buona fede, correttezza e “protezione” (anche ai sensi degli artt. 1175 e 1375 c.c.). In altre parole, il ricorrente afferma che il “contatto” avvenuto con il produttore – pur con la “intermediazione” della struttura sanitaria che ha impiantato le protesi – sarebbe di per sé produttivo in capo al fabbricante di obblighi cui quest’ultimo si sarebbe reso inadempiente.

Argomentazione ardita, che, proseguendo sulla scia di un orientamento giurisprudenziale sempre più nutrito, la Cassazione smentisce, negando la sussistenza di un “contatto sociale” tra soggetto leso e produttore idoneo a determinare l’insorgere in capo al secondo di obblighi di tale natura e la possibilità di regolare il rapporto ricorrendo alla disciplina dell’inadempimento di un’obbligazione contrattuale.

Il comportamento colposo del produttore

I giudici di merito avevano escluso la responsabilità aquiliana del produttore affermando che non vi era prova della relativa colpa, non sussistendo al momento dell’immissione in commercio prove della conoscenza della difettosità delle protesi, emersa soltanto successivamente, quando il fabbricante aveva provveduto al ritiro delle stesse dal commercio.

Ebbene, sul punto la Cassazione dissente, affermando che la successiva acquisita conoscenza della difettosità delle protesi – in ragione della quale ne era stato effettuato il ritiro – «avrebbe dovuto imporre alla produttrice, ormai pienamente consapevole della potenzialità dannosa dei suoi prodotti, di informare dei rischi che correvano coloro ai quali le protesi erano già state impiantate».

Il non avere agito in tal senso viene, dunque, valorizzato dalla Corte come condotta omissiva colposa, rilevante all’affermazione della responsabilità aquiliana del produttore ai sensi dell’art. 2043 c.c.; norma, quest’ultima, applicabile ai casi di danno da prodotto cumulativamente al regime di responsabilità ex artt. 114 ss. cod. cons., come a più riprese affermato dalla stessa Cassazione.